Che piaccia o meno, ad oggi, ‘ufficialmente’, l’unica risposta che le autorità sanitarie sono riuscite a dare come contrasto al contagio da coronavirus, sono i vaccini.
In realtà in molti, ancor più quanti contrari ai vaccini in primis, continuano a domandarsi: possibile che non sia stata sperimentata nessuna cura alternativa all’infezione?
In effetti, premessi i ‘riflessi’ e la tempestività di quei pochi medici di famiglia che, in piena pandemia – rischiando moltissimo – hanno continuato a curare con successo (addirittura contravvenendo al protocollo ufficiale stilato dal ministero della Salute), ’porta a porta’ i loro pazienti, non si conoscono farmaci o specifiche terapie. O meglio, ‘si era parlato’ prima dell’incoraggiante ‘sperimentazione’ portata avanti dal professore De Donno (poi finito addirittura suicida) e, a seguire, dell’ottima risposta data dall’uso degli agenti monoclonali. Una terapia economicamente vantaggiosa (vengono prodotti vicino a Roma), rispetto alla quale però molti medici hanno storto il naso, adducendo problemi di ‘operatività’ rispetto alle tempistiche dell’infezione. In poche parole, secondo alcuni gli ‘agenti’ funzionerebbero al meglio ‘solo’ se inoculati nelle prime ore dal contagio: ma come sapere esattamente il momento in cui si è stati contagiati? Se non di fronte alla manifesta sintomatologia (e parliamo di minimo 4 giorni dal contagio), raramente si è in grado di capire di essere stati infettati nell’arco delle prime 24 ore.
Nel frattempo però l’Istituto Spallanzani di Roma, anche con successo, ha continuato a lavorare sui monoclonali e, da poche settimane, ha addirittura avviato una sperimentazione pianificata, diretta a quanti ricoverati. Una terapia che, se messa a punto, potrebbe addirittura essere seguita a domicilio.
Ma cosa ne pensano realmente i medici interni al Comitato Tecnico Scientifico? Secondo il virologo (e docente dell’università Statale di Milano), Fabrizio Pregiasco, si può fare: ”Per avere monoclonali anti covid a domicilio si sta lavorando, credo che questo sarà un destino nel breve periodo. Io stesso ho partecipato a un trial clinico per utilizzare gli anticorpi monoclonali in una somministrazione intramuscolo e quindi con una possibilità di maggiore facilitazione”.
Tuttavia, tiene a precisare il virologo, ”Le cure non sono assolutamente alternative al vaccino. E’ necessario sviluppare nuove cure, approcciarle e crescere nella terapia perché il virus rimarrà tra di noi; ci possono essere anche vaccinati che si ammalano e quindi è fondamentale ma l’obiettivo principale è quello di ridurre la circolazione del virus proprio per evitare la malattia”.
Infine, Pregliasco coglie l’occasione per ribadire un concetto rivolto alla vaccinazione per i più giovani: ”È meglio evitare la malattia anche nei giovani, perché anche loro possono avere nell’1% dei casi decorsi gravi e non abbiamo ben contezza anche per loro degli effetti del long Covid”.
Max