“Nessuna controindicazione alla vaccinazione Covid: i pazienti adulti con malattie infiammatorie croniche intestinali”, le Mici, “trattati con farmaci antinfiammatori non steroidei con azione limitata al tratto gastrointestinale sono equiparati alla popolazione generale. Quindi possono e devono sottoporsi al vaccino anti Sars-CoV-2. Il consiglio è di non aspettare e di non posticipare la seconda dose, perché con la seconda dose si ha un recupero della risposta anticorpale. Inoltre, sebbene non ci siano ancora dati ed evidenze scientifiche sulla terza dose, consigliamo a questi pazienti di farla, in quanto rientrano nella categoria dei pazienti fragili”. E’ questo il messaggio che arriva dai gastroenterologi riuniti in occasione del 27° Congresso nazionale delle malattie digestive Fismad, in programma dal 22 al 25 settembre rigorosamente in modalità virtuale per le misure anti-pandemia.
Tra loro Linda Ceccarelli, specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva e dirigente medico Uo Gastroenterologia universitaria azienda ospedaliero-universitaria Pisana; Federico Desideri, medico chirurgo gastroenterologo presso l’ospedale San Maurizio di Bolzano, ed Erasmo Miele, gastroenterologo pediatrico dell’Uoc di Pediatria generale Dai Materno-infantile azienda ospedaliera universitaria di Napoli ‘Federico II’, protagonisti della tavola rotonda ‘La gestione delle vaccinazioni nei pazienti con terapia immunosoppressiva in era Covid-19’, durante la quale gli esperti si sono confrontati su eventi avversi, suggerimenti o avvertenze da sottoporre ai pazienti affetti da Mici.
“In un recente studio – ha ricordato Ceccarelli – è emerso che i pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali trattati solo con mesalazina potevano essere equiparati alla popolazione generale, non avendo alcun tipo di controindicazione alla vaccinazione Covid. Per quanto riguarda i pazienti sottoposti a terapia immunosoppressiva o in terapia biologica, ad oggi non ci sono controindicazioni certe, ma l’opinione degli esperti è che non ci fosse nemmeno un criterio di priorità nella vaccinazione di questi pazienti. Cosa che, invece, in Italia non è avvenuta perché i pazienti con Mici sono stati inclusi nella categoria dei cosiddetti fragili. I pazienti che hanno avuto delle reazioni allergiche severe dopo la terapia infusionale con infliximab in realtà per la Food and Drug Administration (Fda) dovrebbero essere trattati con particolare cautela per le vaccinazioni, proprio per reazioni allergiche severe avute in passato. Per quanto riguarda l’efficacia del vaccino Covid nei pazienti in terapia immunomodulante, questa deve essere valutata in maniera più approfondita”.
Per cercare di avere una risposta migliore possibile in seguito alla vaccinazione Covid, secondo Ceccarelli “particolare attenzione deve essere prestata per il timing della vaccinazione stessa in base alla terapia seguita dai pazienti. La maggior parte dei nostri farmaci non comporta nessun tipo di indicazione sul timing, quindi mesalazina piuttosto che gli anti-Tnf alfa non determinano delle variazioni nel timing della vaccinazione. Per quanto riguarda i farmaci Jak-inibitori, l’indicazione è quella di aspettare una settimana dopo la vaccinazione”.
In merito agli eventi avversi, l’esperta ha illustrato lo studio Corale-Ibd, una ricerca longitudinale e nazionale che ha valutato 246 pazienti affetti da Mici, 165 con morbo di Crohn e 81 con coliti ulcerose o coliti indeterminate sottoposti a vaccinazione con vaccino a mRna Pfizer o Moderna. Nei pazienti analizzati, ha riferito Ceccarelli, “un 20% non era sottoposto a terapie immunomodulanti. Gli eventi avversi dopo la prima dose sono stati riscontrati nel 39% dei casi, mentre dopo la seconda dose nel 62% dei casi: reazioni a livello del sito di iniezione (dolore al braccio), stanchezza, mal di testa e febbre, ovvero gli stessi che si riscontrano normalmente nella popolazione generale e che sono stati riscontrati in particolare nei pazienti giovani, affetti da colite ulcerosa e in coloro che avevano avuto una pregressa esposizione al Covid-19. Tali eventi avversi non erano associati alle terapie immunomodulanti, anzi tali episodi erano minori in pazienti sottoposti a queste terapie”.
Anche sull’efficacia dei vaccini per questi pazienti, i gastroenterologi non hanno dubbi: “Abbiamo un’efficacia dei vaccini a mRna del 95% nel prevenire la malattia da Covid-19 nella popolazione generale – ha evidenziato Desideri – Ma noi dobbiamo chiederci: cosa succede per i pazienti con malattie infiammatorie croniche? La risposta arriva da uno studio retrospettivo condotto negli Stati Uniti lo scorso agosto, su 1.500 pazienti uomini con malattie infiammatorie croniche, tutti sottoposti a diverse terapie immunosoppressive. Risultato? E’ stato dimostrato che l’infezione da Sars-CoV-2 veniva significativamente ridotta nei pazienti vaccinati. Non solo. La vaccinazione completa è associata a una riduzione del 69% del rischio di infezione e l’efficacia del vaccino corrispondente è del 25,1% per lo stato di vaccinazione parziale (una dose) e dell’80,4% per lo stato di vaccinazione completa (due dosi).
Per questi motivi, ha aggiunto Desideri, “il programma vaccinale nei pazienti con malattia infiammatoria cronica intestinale in terapia immunosoppressiva non si modifica rispetto alla schedula standard. La malattia Covid-19 ha un decorso più severo in caso di concomitante immunosoppressione (corticosteroidi in primis). Questi pazienti dovrebbero essere tutti vaccinati contro Sars-CoV-2. E la vaccinazione dovrebbe essere programmata il prima possibile anche perché gli eventi avversi dopo la vaccinazione sono sovrapponibili rispetto alla popolazione generale”. Infine, sulla terza dose: “Per gli adulti è un argomento nuovo, non ci sono ancora dati, però mi sento di consigliarla, considerando che i rischi di una eventuale nuova somministrazione sono accettabili. In questo mi sento ottimista”.