(Adnkronos) – I disturbi neurologici associati a Covid-19 sono diventati via via meno frequenti nelle ondate pandemiche successive alla prima, fino ad essere classificati ora come “molto rari”. Fino a più del 70% di chi li ha sperimentati ha mostrato una risoluzione completa dei sintomi, che tuttavia sono proseguiti per oltre 6 mesi dal contagio nel 30% circa dei pazienti. I problemi cognitivi sono quelli risultati più persistenti, e inseriti per questo fra le manifestazioni della sindrome Long Covid. Sono i principali risultati dello studio ‘Neuro-Covid Italy’ che ha indagato sulle complicanze neurologiche dell’infezione da Sars-CoV-2, coinvolgendo 38 Unità operative di Neurologia in Italia e nella Repubblica di San Marino, per un totale di 160 neurologi e 2mila pazienti. Il lavoro è stato pubblicato su ‘Neurology’, rivista ufficiale dell’American Academy of Neurology.
Promosso dalla Società italiana di neurologia (Sin), il progetto è stato coordinato da Carlo Ferrarese, direttore della Clinica neurologica dell’università degli Studi di Milano-Bicocca presso la Fondazione Irccs San Gerardo dei Tintori di Monza. Ideatori i ricercatori dell’università Statale di Milano Vincenzo Silani (direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Irccs Auxologico di Milano) e Alberto Priori (direttore della Scuola di specializzazione in Neurologia e della Clinica neurologica presso il Polo universitario San Paolo dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano), e di Milano-Bicocca (Ferrarese). Lo studio è stato presentato al Comitato etico di Auxologico il 26 marzo 2020 ed è durato 70 settimane, da marzo 2020 fino a giugno 2021, con un successivo follow-up al dicembre 2021.
“I disturbi neurologici associati a Covid-19, chiamati collettivamente con il termine ‘neuro-Covid’, sono tra gli aspetti più allarmanti, controversi e meno compresi della recente pandemia”, ricordano gli esperti. Si tratta di “sintomi e malattie diverse – elencano – da encefalopatia acuta (grave stato confusionale, con disorientamento e allucinazioni) a ictus ischemico, emorragia cerebrale, difficoltà di concentrazione e memoria, cefalea cronica, riduzione dell’olfatto e del gusto, alcune forme di epilessia e di infiammazione dei nervi periferici”. Su quasi 53mila pazienti ospedalizzati per Covid-19, circa 2mila erano affetti da disturbi neuro-Covid e sono stati seguiti per almeno 6 mesi dopo la diagnosi, così da analizzare l’evoluzione dei disturbi.
“Un primo dato importante”, evidenzia Simone Beretta, neurologo dell’Irccs San Gerardo e primo autore dello studio, indica che “i disturbi neuro-Covid sono diventati gradualmente meno frequenti ad ogni successiva ondata pandemica, passando da circa l’8% della prima ondata a circa il 3% della terza. Questo indipendentemente dalla severità respiratoria del virus e prima dell’arrivo dei vaccini. La ragione più probabile di questa riduzione sembra quindi legata alle varianti stesse del virus, che passando da quella originale di Wuhan fino alla Delta hanno reso il virus meno pericoloso per il sistema nervoso. Con la variante Omicron e l’uso dei vaccini, la situazione è andata ulteriormente migliorando e i disturbi neuro-Covid sono ora diventati molto rari”.
Il secondo dato emerso dal lavoro riguarda il recupero neurologico nei mesi successivi all’infezione. “In oltre il 60% dei pazienti – riferisce Ferrarese – c’è stata una risoluzione completa dei sintomi neurologici oppure la persistenza di sintomi lievi, che non impediscono le attività della vita quotidiana. Questa percentuale arriva a oltre il 70% per i pazienti in età lavorativa, tra i 18 e i 64 anni. Non bisogna però dimenticare – precisa – che in circa il 30% dei pazienti i sintomi neurologici sono durati oltre i 6 mesi dall’infezione. Questo è vero soprattutto per quanto riguarda i pazienti con ictus associato all’infezione da Covid, che nelle prime ondate sono stati gravati anche da una elevata mortalità intraospedaliera”.
“Ma anche per i disturbi cognitivi, della concentrazione e della memoria – rimarcano gli specialisti – la risoluzione dei sintomi è stata molto più lenta rispetto ad altre condizioni neurologiche, tanto da rientrare in quella che è stata chiamata sindrome long-Covid” e che molti dei centri neurologici coinvolti nel progetto stanno monitorando.
“Se, quando e quanto l’infezione da Sars-CoV-2 potrà determinare un incremento del rischio di patologie neurologiche ad essa correlate a distanza di anni, rimane ovviamente da essere studiato”, puntualizza Priori. “Visti i dati della pandemia appena finita – ammonisce – i numeri potrebbero ipoteticamente essere importanti. Ciò implica che i sistemi sanitari europei, oltre che le società scientifiche, dovranno monitorare attentamente il quadro neuro-epidemiologico e dedicare sin da ora risorse specifiche a tale osservazione nel tempo”.
“Lo studio Neuro Covid Italy ci rende orgogliosi – commenta Silani – per avere intuito precocemente il coinvolgimento del sistema nervoso nella pandemia legata al Covid e avere così determinato la raccolta dei dati nella Penisola, tracciando una prima valutazione dell’impatto neurologico in acuto e nel lungo termine della pandemia”.