L’utilizzo della mascherina chirurgica, e ancora di più della Ffp2, dimostra essere “un eccellente strumento di protezione, abbattendo il rischio di contagio che diventa trascurabile già a brevi distanze (circa 1 metro), indipendentemente dalle condizioni ambientali o dall’evento respiratorio considerato”. E’ la conclusione dello studio condotto da un team internazionale di ricerca delle università di Padova, Udine, Vienna e Chalmers (Svezia), pubblicato sul ‘Journal of the Royal Society Interface’. La ricerca propone un modello di quantificazione del rischio di contagio da Covid-19 in funzione di distanza interpersonale, condizioni ambientali di temperatura e umidità e tipo di evento respiratorio considerato (parlare, tossire o starnutire), con o senza l’utilizzo di mascherine.
Dal lavoro emerge che “senza mascherina le goccioline infette emesse quando si parla possono raggiungere la distanza di poco più di 1 metro, mentre starnutendo arrivano fino 7 metri in condizioni di elevata umidità. Tali distanze, stimate dal modello, mostrano un pieno accordo con le più recenti evidenze sperimentali – evidenziano i ricercatori – Dall’applicazione del modello per la stima del rischio di contagio si capisce che non esiste una distanza di sicurezza ‘universale’, in quanto dipende dalle condizioni ambientali, dalla carica virale e dal tipo di evento respiratorio. Ad esempio, considerando un colpo di tosse (con media carica virale), si può avere un alto rischio di contagio entro i 2 metri in condizioni di umidità relativa media, mentre diventano 3 con alta umidità relativa, sempre senza mascherina”.
“La pandemia ha evidenziato l’importanza di modellare accuratamente la trasmissione virale operata da goccioline salivari emesse da individui infetti durante eventi respiratori come parlare, tossire e starnutire – afferma Francesco Picano, del Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Padova – Le regole del distanziamento interpersonale usualmente utilizzate si basano principalmente sullo studio proposto da William Firth Wells nel 1934. Nel nostro lavoro abbiamo revisionato tale teoria utilizzando le più recenti conoscenze sugli spray respiratori, arrivando a definire un nuovo modello per quantificare il rischio di contagio respiratorio diretto. L’applicazione del modello fornisce una valutazione sistematica degli effetti del distanziamento e delle mascherine sul rischio d’infezione”.
“I risultati indicano che il rischio è fortemente influenzato dalle condizioni ambientali come l’umidità, dalla carica virale e dal tipo di attività respiratoria, suggerendo l’inesistenza di una distanza di sicurezza universale. Di contro – sottolinea Picano – indossare le mascherine fornisce un’eccellente protezione, limitando efficacemente la trasmissione di agenti patogeni anche a brevi distanze interpersonali e in ogni condizione ambientale”.
“Sappiamo che il virus richiede un vettore per essere trasmesso da una persona ad un’altra – ricorda Alfredo Soldati, ordinario di fluidodinamica dell’Università di Udine e direttore dell’Institute of Fluid Mechanics and Heat Transfer della Technische Universität di Vienna – Sappiamo anche che il vettore sono le goccioline di saliva emesse mentre respiriamo, parliamo, starnutiamo, cantiamo. Le indicazioni mediche che stiamo seguendo sono basate su studi di fluidodinamica del 1940. Noi stiamo chiudendo le scuole, limitando le capienze dei locali, limitando le distanze tra le persone sulla base di studi del 1940. E’ importante – esorta – che ingegneri e fisici si cimentino nello studio di questi fenomeni, insieme a biologi e virologi, per fornire indicazioni precise che consentano di rilassare le norme quando si può e di rinforzarle quando si deve”.
“Dall’inizio della pandemia – rimarca Soldati – la comunità internazionale si è messa al lavoro e ha prodotto in soli 2 anni un bagaglio di conoscenze basate su sofisticati esperimenti e accurate simulazioni sui moderni supercomputer. La gestione di questa pandemia richiede un continuo e razionale impegno da parte delle amministrazioni pubbliche, della comunità medica e di quella scientifica al fine di identificare misure sostenibili e accettabili dalla società. Il mio auspicio – conclude – è che la comunità sanitaria che identifica le misure di sicurezza accolga volentieri i nostri suggerimenti e il nostro aiuto”.