(Adnkronos) – Il boom di contagi Covid in Cina era prevedibile, dopo anni di politica ‘zero Covid’, e che possano emergere nuove varianti, non per forza più cattive, “è possibile, se non probabile”, vista l’alta circolazione e il basso livello di immunizzazione che potrebbe avere la popolazione del gigante asiatico. Quindi “che la situazione meriti un accurato monitoraggio, credo sia fuori di dubbio”. Questa, in sintesi, la visione di Massimo Galli, già direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano.
“Il protrarsi della politica Covid Zero in Cina – analizza in un post sulla sua pagina Facebook – si è scontrato con l’impossibilità di conseguire l’obiettivo, se non a prezzo di durissime limitazioni delle libertà personali, accompagnate da un gravissimo danno economico. Alla decisione repentina di riaprire tutto, ha fatto seguito un’impennata delle infezioni e dei decessi, la cui esatta portata non viene comunicata. Come purtroppo poteva essere atteso in un paese con più di 1,4 miliardi di abitanti, che contiene i più grandi agglomerati urbani del pianeta, in cui negli anni di chiusura si è vaccinato poco e male”, riflette. Quanti siano i vaccinati in Cina e quanto siano stati vaccinati i più fragili e gli anziani “non è dato saperlo in base a informazioni certe. La Cina avrebbe praticato almeno 3,4 miliardi di dosi di vaccino, più di 240 dosi per 100 abitanti, ma i vaccini usati, i loro, sono risultati di modesta efficacia”.
Se si confronta il dato con la situazione italiana, “da noi, su 60 milioni di abitanti, almeno 50 sono ‘completamente’ vaccinati – cioè hanno fatto almeno due dosi – e tra i 23 e i 30 milioni (più 30 che 23) hanno fatto l’infezione. Oggi quindi siamo un paese assai più immunizzato della Cina, se per immunizzato si intende difeso, in caso di infezione, dalla malattia grave, dal finire in ospedale, in rianimazione o peggio. Un altro confronto? In Italia, compresi quelli che si sono infettati più volte, hanno incontrato certamente il virus, come provato da un tampone positivo, in 25 milioni su 60 milioni di cittadini. Più del 40% della popolazione totale. In Cina, fino a ieri, in 4,5 milioni su 1,4 miliardi, pari allo 0,3% della popolazione”.
Questo, evidenzia Galli, significa che “il virus in Cina ha quindi possibilità enormi di circolare, mutare, produrre nuove varianti. Che questo spaventi, è un dato di fatto. E i numeri non ufficiali pubblicati in questi giorni su infezioni e decessi – 9.000 al giorno – in Cina non sono di conforto”.
“Che questo possa comportare anche la selezione di nuove varianti è possibile, se non probabile – ribadisce l’infettivologo -. Che queste varianti possano acquisire particolare virulenza, non lo si può escludere, ma se posso dire la mia, ritengo più verosimile che finiscano per prevalere ceppi molto diffusivi, ma non necessariamente più ‘cattivi’, più patogeni. Che, infine la situazione meriti un accurato monitoraggio, credo sia fuori di dubbio. Lo ha appena affermato anche il Direttore generale dell’Oms”, Organizzazione mondiale della sanità.