In poche settimane, tra luglio e agosto, il numero degli infermieri contagiati in corsia è aumentato del 600%: un trend cresciuto anche nelle ultime settimane e che rischia di mandare in affanno il sistema sanitario nazionale, costretto a fare i conti con le inevitabili defezioni di organico. Per questo alcune sigle sindacali della categoria ora chiedono rassicurazioni alle istituzioni: il personale sanitario trovato positivo al Covid – e che in qualche caso si è ammalato anche in modo grave – è infatti vaccinato da mesi, da quando cioè un’apposita legge del governo ha reso obbligatoria la vaccinazione, pena la sospensione del lavoro. Cosa accadrà ora che siamo alla vigilia dell’autunno e gli esperti temono un ritorno del virus?
Il grido d’allarme è di Nursing Up, uno dei principali sindacati degli infermieri, che segnala come tra il 10 agosto e il 10 settembre gli operatori sanitari contagiati siano stati 1.848, in massima parte personale paramedico. Dati che trovano conferma anche nel report dell’Iss: “I dati dell’Istituto Superiore della Sanità – dice il presidente Antonio De Palma – sono inconfutabili e non possono passare sotto traccia: sono numeri preoccupanti e chiediamo alle Asl di chiarire quanto sta accadendo negli ospedali. Vogliamo comprendere fino a che punto gli infermieri già vaccinati si stanno ammalando di nuovo, vogliamo sapere se questa impennata di casi è stata presa in considerazione dagli organismi di vigilanza al fine di valutare la reale efficacia del vaccino”.
Nursing Up: “Cosa accadrà in autunno a noi e ai cittadini?”
La presa di posizione mei confronti delle aziende sanitarie non è pretestuosa. Proprio il sindacato riferisce di aver chiesto in più occasioni dati più completi sull’andamento dei contagi tra gli infermieri. Anche qualche settimana fa la Fnopi, la Federazione Nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, aveva lanciato un analogo allarme precisando comunque che soltanto una minima parte dei casi risultati positivi al tampone si era effettivamente ammalata e quasi sempre in modo lieve. Altre stime invece fotograferebbero un peggioramento della situazione nelle ultime settimane, con casi di malattia più gravi e forse anche un paio di decessi anche se – dicono fonti del comparto sanitario – l’indicazione è di non creare allarmismi per evitare di spaventare l’opinione pubblica.
Qualunque sia la reale situazione, però, i rappresentanti delle categorie in prima fila nelle corsie degli ospedali chiedono a questo punto chiarezza: “Non ci troviamo solo di fronte alla problematica, fin troppo sottovalutata, della non totale efficacia dei vaccini – attacca Antonio De Palma -. Diciamo che noi infermieri lo sapevamo quando abbiamo deciso di sottoporci, coscientemente, in massa, alle somministrazioni: ma non ci vengano a dire, di fronte all’esplodere delle varianti, che è tutto sotto controllo e che dovevamo aspettarcelo. Le Direzioni Sanitarie italiane chiariscano immediatamente quanto sta accadendo nelle ultime settimane nei loro ospedali: appare evidente che, alla luce dei nuovi contagi, siamo di fronte oggi ad una potenziale riduzione dell’immunità per gli infermieri che si sono vaccinati tra gennaio e febbraio 2021. Cosa stiamo aspettando a prendere decisioni risolutive, e soprattutto certe e valide per tutti?”.
Infermieri e medici chiedono la terza dose: ma è l’unica soluzione?
A questo punto però il dilemma assume i contorni tipici del classico dubbio amletico. Il vaccino ha dimostrato di non essere uno scudo impenetrabile al virus: per evitare problemi in futuro ha senso vaccinarsi ancora, oppure converrebbe cambiare strategia? Dagli esperti del CTS ai più celebri virologi consacrati dalla Tv l’appello è per tutti a farsi anche al terza dose del siero: la priorità dovrebbe essere per le categorie fragili e poi, forse, toccherebbe al personale sanitario che svolge un lavoro delicato e strategico.
Medici e infermieri, evidentemente sotto pressione e preoccupati per la propria incolumità in caso di un aumento dei contagi con la stagione autunnale, chiedono di fare in fretta. E De Palma ammette che non è soltanto un problema di natura sindacale: “Se in un contesto tanto ristretto, cioè quello degli ospedali italiani dove il rischio di imbattersi nel virus è superiore, in un solo mese il numero dei nuovi operatori sanitari infettatati è schizzato a quota 2.000 nonostante tutte le norme di prevenzione oggi applicate dalle mascherina alle tute ed ogni quant’altro, cosa accadrebbe ai normali cittadini vaccinati, se il virus tornasse a circolare, anche per poco tempo, nelle scuole, negli uffici o nei locali pubblici italiani dove non c’è lo stesso livello di utilizzo degli strumenti di prevenzione come invece accade nei nosocomi?”.