Il miglioramento di tante prestazioni di lavoro e la necessità di continuare a mantenere il più possibile un distanziamento anche durante la cosiddetta Fase2 della lotta alla diffusione del coronavirus sta inducendo moltissimi, tra addetti ai lavori, manager di azienda e politici preposti a prendere decisioni, di continuare a favorire, incentivare e rendere il più possibile necessario il cosiddetto smart working.
Come sappiamo lo smart working, o lavoro agile o altrimenti detto lavoro a distanza e da remoto permette a chiunque di svolgere, se possibile, la propria prestazione da lontano senza andare sul luogo del lavoro.
Anche adesso che ci si avvia alle riaperture è previsto che in moltissimi casi, anche per evitare agglomerati a rischio contagio, un progressivo e corposo accesso alle pratiche di smart working.
Coronavirus, smart working: come funzionerà nella Fase2
Si ritiene, in molti casi, che questo iter procedurale, volto a impedire grossi numeri di presenza in azienda possa sposarsi perfettamente alle altre differenti necessità messe in cantiere per il ritorno alla normalità. Come per esempio, quella dell’uso delle mascherine, che sappiamo essere necessarie ancora per molto tempo proprio per una tutela della nostra salute.
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Sulle regole per lo smart working, che molti vogliono rendere “obbligatorio” in tutte quelle realtà che possano usarlo, almeno per tutta la fase della emergenza, c’è abbastanza chiarezza, a dire il vero.
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Il punto è lasciare più persone a lavorare da casa: un concetto che, ormai è chiaro, rientra nella strategia per evitare le “ore di punta” sui mezzi pubblici e il sovraffollamento sul posto del lavoro, con caos legati anche a igienizzanti, mascherine, guanti e messa a norma dei luoghi di lavoro.
Ma devono anche essere ripensati gli orari di lavoro, differenziati per categorie: “Non possiamo più immaginare che milioni di persone si muovano tra le 7.30 e le 8.30 del mattino» ha detto il ministro Paola De Micheli, ed è per questo che, in ottica smart working, il flusso delle operazioni di lavoro verranno comunque incentivate di modo che, laddove possibile, il maggior numero di lavoratori, non dovendo muoversi per recarsi al lavoro nella fascia di cui sopra, potrà comunque coprirla dalla propria abitazione.
In ‘cambio’, come si dice (erroneamente, dal momento che non è un favore personale al lavoratore ma una necessità legata alla salute delle persone) in questi casi, moltissimi lavoratori hanno dimostrato in questa fase di accesso allo smart working una sostanziale serietà, puntualità e produttività.
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Complici anche le diverse interconnessioni giornaliere con i capi, i dipendenti che hanno avuto accesso allo smart working hanno, di fatto, esteso anche il lavoro oltre le normali ore giornaliere, con una continua interazione virtuale con l’azienda tramite chat, messaggi o conference call tramite programmi come Skype anche oltre il proprio ‘turno’.
Questo ha indotto molti a riflettere meglio, ad esempio, circa il cosiddetto diritto alla disconnessione di cui in Italia si parla ancora poco.
Ma ci sarà tempo: per il momento, quel che appare chiaro è che, per una lunga fase ancora, l’accesso al lavoro smart resterà comunque necessario, al pari di tante altre misure restrittive.
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