Ironizzando, in molti hanno inizialmente attribuito – per assonanza – alla celebre birra ‘Corona’ l’epidemia da coronavirus. Poi, come spesso accade, forse perché sensibili anch’essi all’assonanza, in molti hanno smesso di consumarla, creando così al noto birrificio consistenti perdite miliardarie nel mondo. Questo per dire a volte quanto come sono legate determinate situazioni al contemporaneo.
Ma non solo. Come rivela infatti il cronista dell’agenzia di stampa AdnKronos, Antonio Atte, in tanti, e in diversi paesi hanno invece deciso di cavalcare l’onda emotiva (chiamiamola così!), cercando addirittura di ‘sfruttare’ commercialmente il momento a proprio favore. Dunque, perché non registrare il marchio ‘Coronavirus’? Detto fatto
Marchio depositato da una catena di ristoranti orientali!
Così, ‘navigando’ nel database dell’Ufficio Brevetti e Marchi del Ministero dello Sviluppo economico, il bravo cronista ha individuato un gruppo italiano il quale, scrive Atte “ironia della sorte, è specializzato nello sviluppo’ di ristoranti orientali. Un settore che a causa dell’allarme sanitario ha visto un drastico calo dei clienti nelle ultime settimane”.
Un marchio da estendere dall’abbigliamento al cibo
Si è così scoperto che lo scorso 28 febbraio, ‘Gl Group Italia Srl’ (prima azienda italiana a farlo), sotto la dicitura ‘coronavirus’, ha registrato l’opzione per ‘un mare’ di prodotti, come gli oggetti ornamentali, orologi; opuscoli, cataloghi, libri; nell’elettronica con gli apparecchi per videogiochi, le suonerie, le grafiche, gli emoticon, le applicazioni per cellulari; quindi i prodotti in metalli preziosi, ma anche le calzature, la maglieria, le calze; senza dimenticare i giochi, le maschere da carnevale, ed i pupazzi. Ma non solo, anche nel settore alimentare. Ecco quindi con brodi, frutta conservata, marmellate, confetture, formaggi, bastoncini di tofu e di pesce; alghe, biscotti, cialde, cacao, caffè, salsa piccante alla soia, riso al vapore; servizi di catering, enoteche. Insomma per dirla alla romana: ‘se sò presi tutto!’
Un’inziativa che ha ‘anche’ uno scopo solidale…
A questo punto il giornalista dell’AdnKronos ha deciso di chiamare direttamente la ‘Gl Group Italia Srl’, per farsi raccontare questa loro iniziativa. E’ così uscito che la stessa “è proprietaria del marchio Sushiko e del marchio MANY, con circa 60 ristoranti nel Nord Italia. L’amministratore unico della società, il signor Cristian Lin, 36 anni, nato in Italia, desidera contribuire alla lotta contro il coronavirus“. Guarda un po’, dunque dietro tutto questo ci sarebbe uno ‘scopo solidale’! Mister Lin ha infatti spiegato il marchio ‘coronavirus’, “che intende riprodurre su t-shirt e gadget vari”, andrà a realizzare dei guadagni, il cui ricavato “andrà in parte all’Istituto Lazzaro Spallanzani, e in parte al Ministero della Salute“. Dunque, tiene a sottolineare l’azienda, si tratterebbe di un’iniziativa che “non ha alcun scopo di lucro”. Semmai, specificano, lo scopo è anche “quello di riuscire a far sorridere in un momento così difficile per tutti, anche per la ristorazione”. Intanto però è già al lavoro “una nota agenzia pubblicitaria” per realizzare disegni e vignette a tema, da stampare su t-shirt e gadget vari…
Max