Home ATTUALITÀ Contrada: “Finalmente sentenza accerta falsità mia presenza via D’Amelio”

    Contrada: “Finalmente sentenza accerta falsità mia presenza via D’Amelio”

    (Adnkronos) – (di Elvira Terranova) -“Hanno devastato la mia esistenza, hanno fatto di tutto per distruggermi, mettendo in giro la voce della mia presenza sul luogo della strage di via D’Amelio. Ora anche una sentenza mette nero su bianco che era tutto falso. Era una manovra di depistaggio delle indagini a mio danno e a danno del servizio di cui facevo parte, con false affermazioni di soggetti istituzionali”. A parlare con l’Adnkronos è Bruno Contrada, l’ex 007, che commenta così le motivazioni della sentenza del processo depistaggio Borsellino. I giudici nelle motivazioni si chiedono perché in un arco temporale prossimo alla strage ci si sia dedicati a diffondere la notizia, poi rivelatasi falsa, della presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio, poco dopo l’esplosione. A vantaggio di chi?  

    Alla luce di tutte le circostanze i giudici ritengono che se ne giovò chi aveva tutto l’interesse a far sì che le matrici non mafiose della strage, che si aggiungono a quella mafiosa, di Via D’Amelio non venissero svelate nella loro reale consistenza. “Come ben evidenziato da talune parti civili (in primis l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, ndr) Bruno Contrada era “il diversivo giusto”: un soggetto – nel frattempo caduto in disgrazia per le confidenze rivelate da Gaspare Mutolo al dottor Borsellino circa una contiguità del Contrada medesimo con l’organizzazione mafiosa – da collocare immediatamente sulla scena del crimine subito dopo l’esplosione”, scrivono i magistrati nella sentenza.  

    “Perché volevano addossare a me delle responsabilità? – dice oggi Contrada – Il perché lo devono spiegare i giudici. Io lo so il perché. O meglio, lo immagino fondatamente. Parlo di dati di fatto”. E ricorda un esposto che aveva presentato nel 2007, pochi mesi prima della sentenza definitiva che lo portò nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere per scontare la pena per concorso esterno in associazione mafiosa. Anche se successivamente i giudici della Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo dissero che Bruno Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. 

    “Nel marzo 2007 avevo presentato un articolato esposto denuncia querela alla Procura di Caltanissetta di una cinquantina di pagine e c’erano oltre 100 allegati – racconta oggi Contrada – atti giudiziari, con prove per dimostrare che era stata fatta una manovra di depistaggio delle indagini a mio danno. Si voleva danneggiare me e il servizio di cui facevo parte, con false affermazioni di soggetti istituzionali, come un ufficiale dei carabinieri, per avviare indagini a mio carico”. 

    “Si sosteneva che la mia presenza era stata notata e rilevata e addirittura documentata in via D’Amelio, qualche attimo dopo l’esplosione dell’autobomba che massacrò il giudice e cinque agenti dello Stato – dice ancora Bruno Contrada all’Adnkronos – agenti che per me – alto dirigente di Polizia – non erano subordinati ma come miei figli”. 

    “E’ stato fatto tutto per sviare le indagini sulla pista sbagliata – racconta ancora Contrada – oltre che gravemente diffamatoria e calunniatoria, infamante e orribile”. Ma l’esposto finì in un nulla di fatto. “E’ stato tutto archiviato. Io andai personalmente a Caltanissetta per presentare l’esposto al Procuratore della Repubblica di allora, se non ricordo male c’era un facente funzione”.  

    Secondo i giudici del Tribunale di Caltanissetta “la ricostruzione del passato è stata spesso manipolata al fine di fornire una interpretazione dei fatti che è funzionale alla tutela di interessi non alti, ma altri rispetto alla ricostruzione autentica di tanti eventi cruciali e cupi degli ultimi decenni di storia del nostro Paese”, scrivono nelle motivazioni del processo depistaggio. “La strage di via D’Amelio, tragica nel suo esito umano e deflagrante sul piano politico istituzionale dell’epoca in cui si consumò, ne è esempio paradigmatico e pone un tema fondamentale, quello della verità nascosta, o meglio non completamente disvelata“. La sentenza del luglio scorso ha dichiarato prescritta l’accusa di calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia contestata a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta, e assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo. Il venire meno dell’aggravante ha determinato la prescrizione del reato di calunnia.