(Adnkronos) – Non tutti hanno la stessa carriera e gli stessi successi alle spalle, anche per ragioni anagrafiche. Ma c’è un fattore che lega tre allenatori diversi tra loro, e la loro idea di calcio: la dipendenza dai ‘campioni’. Antonio Conte, Josè Mourinho e Massimiliano Allegri non ne fanno un mistero, anche se con sfumature diverse. Si vince con i giocatori più forti e l’organizzazione di gioco serve a metterli nelle condizioni di far vedere quanto siano, effettivamente, più forti degli altri.
Quando non ci riescono, e perdono, la motivazione che ricorre è simile. Come spiega Conte il suo ennesimo passo falso nelle coppe europee, dopo lo zero a zero di Tottenham-Milan che mette i londinesi fuori dalla Champions? “Qua non stiamo a parlare di allenatore ma sempre delle squadre. Bisogna parlare della squadre, del club, dell’allenatore e dei calciatori altrimenti diventa riduttivo”. Cosa dice Mourinho dopo l’uscita dalla Coppa Italia contro la Cremonese, o dopo la sconfitta con l’ultima in classifica, sempre la Cremonese? “Con questa rosa e gli infortunati si fa fatica a giocare tre gare a settimana”. Allegri, di fronte alle domande sul gioco, in genere risponde due cose. La prima, “nel calcio c’è una cosa che conta, vincere le partite”; la seconda, una frase ancora più significativa, “il calcio è arte, devi mettere i grandi campioni nelle condizioni di fare bene. Io sono uno spettatore di uno che fa spettacolo”.
Sono tutte risposte che hanno un senso. E che dicono abbastanza anche di quello che poi il campo restituisce. Sia quando si parla dei successi, tanti, che tutti e tre hanno in bacheca. Sia quando si parla delle pessime prestazioni delle squadre che allenano. Mourinho e Allegri hanno da poco giocato contro, in un Roma-Juve che in molti, e a ragione, hanno definito “il derby dell’anti-calcio”. Una delle partite più brutte, più lente, con meno contenuto, che la Serie A, al livello di vertice, ricordi. Conte, finora, ha dimostrato che quando ha la squadra più forte, in Italia con la Juve e l’Inter, in Premier League con il Chelsea, sa vincere. Ma anche che dove serve un salto di qualità, in Europa e in Champions League in particolare, si è sempre fermato.
Non è solo una questione di gioco o non gioco, su cui sempre ci si dividerà tra ‘giochisti’ e pragmatici, tra cultori dell’estetica e oltranzisti del risultato a tutti i costi, il tema è quale debba essere il contributo dei grandi allenatori nelle grandi squadre. La sintesi è che ci sono allenatori che possono fare il loro calcio solo se hanno i campioni a disposizione e altri che sono in grado di costruire anche un’identità tattica intorno ai campioni. Qualche nome? Pep Guardiola, Carlo Ancelotti, Jurgen Klopp… (di Fabio Insenga)