Secondo avviso ai naviganti in pochi giorni da parte del premier Giuseppe Conte. Il quale si rivolge ai suoi vice premier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, in modo esplicito e perentorio, chiarendo: “Resto se mi convincono“.
Salvini e Di Maio dunque sono avvisati: dopo l’aut aut di qualche giorno fa quando, nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi si era dichiarato perfino pronto alle dimissioni in caso non si fosse trovata (o ritrovata) l’unità d’intenti tra le due controparti politiche del suo governo che in fase elettorale non si sono risparmiate accuse e controrepliche, Giuseppe Conte torna a tuonare e a farlo in modo netto.
Per di più dopo anche gli incontri, da tutti considerati positivi, che nelle scorse ore hanno portato il sereno tre le tre massime figure dell’attuale governo. Evidentemente, c’è ancora qualcosa da chiarire.
Con le pressioni che arrivano dall’Europa, le divergenze di vedute su molti temi interni e la necessità di trovare compromessi su molte tematiche, aree e anche nomine, il premier Conte ha avuto modo di chiarire gli estremi di un’agenda di governo la cui continuità viene garantita a fronte di una grande, principale convinzione: “Se non andiamo d’accordo, io li lascio liberi. Se vogliono andare a sbattere contro un muro, vadano”.
Aggiornamento ore 6,49
“Qualcuno qui deve ancora capire come sono fatto”. Dure, inequivocabili le parole di Conte. Dopo il vertice con i suoi due vice premier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i cui esiti erano emersi ben oltre la mezzanotte però, tutte le incertezze del premier non sono certo evaporate, anzi.
I chiarimenti che sembravano essere emersi tramite i colloqui tra il terzetto dopo il ritorno di Conte dal Vietnam sembrano scontrarsi su altre ruvide realtà. Nelle sue intenzioni Conte, con i suoi tentativi di fare chiarezza, sta continuando a forzare la mano in termini di continuità governativa. Ma gli effetti possono suonare abbastanza discordanti con le intenzioni dei due vice premier.
Ai due leader della maggioranza, il premier Conte sembra aver indicato la via: “Non ci sarà nessuno scontro perché, se non andiamo d’accordo, io li lascio liberi. Una cosa deve essere chiara: sto qui se mi convincono loro, non sono io a doverlo fare. Se vogliono andare a sbattere contro un muro, vadano pure”.
Tanti i temi ancora caldi da dover affrontare e attorno ai quali si deve respirare un’aria di intesa come la intende Conte. Tanti i nodi da sciogliere e i temi che vengono portati agli onori dell’attenzione governativa e mediatica. Gli ultimi, sono quelli di Salvini relativi alla tassa per poter usare il denaro fermo nelle cassette di sicurezza.
Aggiornamento ore 9,58
Perentorio nella sua linea di intervento, Matteo Salvini ha lanciato una sfida: una tassa per poter usare il denaro fermo nelle cassette di sicurezza. “Serve per far emergere il denaro contante depositato nelle cassette di sicurezza, fermo: daremmo il diritto di utilizzarli, e lo Stato incasserebbe miliardi da reinvestire per la crescita”, dice il vice premier.
Se occorre produrre un aumento delle entrate, allora Matteo Salvini prova a suggerire una accelerata. Il denaro delle cassette di sicurezza. “Mi dicono che ci sono centinaia di miliardi in cassette di sicurezza, fermi potremmo metterli in circuito per gli investimenti. Si potrebbe far pagare un’imposta e ridare il diritto di utilizzarli”. In questi termini si è espresso il leader della Lega a Porta a Porta.
Questo, secondo il pd (ne ha parlato ad esempio Luigi Marattin) assomiglia a una nuova patrimoniale. Peraltro quella di intervenire sui capitali fermi nei caveau delle banche, che secondo valutazioni si dovrebbe aggirare sui 200 miliardi di euro, era una idea a cui stava pensando anche il governo Gentiloni.
In quel caso si era parlato di una “voluntary disclosure” di contanti o titoli al portatore con un’aliquota al 35%. A questo, si aggiunge il progetto della stessa Lega, che puntava su un’aliquota più bassa, tra il 15 e il 20%.
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