“Un’azienda su tre è a rischio chiusura e a pagare il prezzo più alto sono soprattutto quelle che hanno aperto da poco, magari sull’onda lunga della ripresa post pandemia, e che hanno maggiori esposizioni bancarie e meno solidità“. E’ a dir poco ‘preoccupato’ – per non dire terrorizzato – il vicepresidente vicario della Fipe (Federazione italiana dei pubblici esercizi di Confcommercio), Aldo Cursano, commentando lo stato crisi indotto in primis dall’insostenibile rialzo dei prezzi dei consumi energetici.
Un allarme quello rilanciato dalla Fipe che rappresenta numeri impressionanti. Attualmente infatti nel Paese un pubblico esercizio su tre rischia la chiusura. Questo perché, accanto agli evidenti rincari energetici, vi sono anche quelli delle materie prime, che investono tutta la filiera. Beni alimentari a parte, basta infatti pensare anche ai materiali di uso comune come il vetro, la carta, la plastica od il cartone. Il tutto si riflette in maniera esponenziale su bar e ristoranti, ora letteralmente in ginocchio.
Ad esempio, spiega ancora Cursano, “Gli ingredienti base per far da mangiare sono aumentati moltissimo, a cominciare dalle verdure, le carni e i latticini, senza parlare delle farine e delle salse, che hanno subito aumenti dal 70 al 150% a seconda delle materie prime. E su tutti incidono anche i costi dei trasporti“. Senza dimenticare poi, non da poco, anche l’allarme per l’aumento del latte.
Ma non solo, aggiunge ancora il responsabile della Federazione italiana dei pubblici esercizi di Confcommercio: “Un paradosso che per alcune tipologie rischia costare di più il contenitore del contenuto. La crisi della vetreria si è riflessa sui bicchieri che usiamo, sulle bottiglie di vino, il vetro è il contenitore più usato perché conserva i prodotti e ha subito impennate straordinarie. La ceramica anche ed inoltre, è difficile trovare perfino l’acqua: alcune linee non si trovano più sul mercato“.
Max