Dopo l’inazione sul fine vita, la politica ha lasciato scadere anche l’anno dato al Parlamento dalla Corte costituzionale per operare da un punto di vista normativo il bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona. Domani scade il monito con termine concesso al Legislatore nell’ordinanza 132/2020 della Consulta ‘Reati di diffamazione a mezzo stampa e applicazione della pena detentiva’, secondo cui la sanzione detentiva per il reato di diffamazione a mezzo stampa è incompatibile con la nostra Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Entro mercoledì la Corte si riunirà dunque in udienza pubblica poiché il Legislatore non ha approvato una nuova disciplina. La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata con due ordinanze dai Tribunali di Salerno e di Bari. La Corte aveva rinviato, all’udienza pubblica del 22 giugno 2021, la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale
Il Tribunale di Salerno (chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità di un giornalista e del direttore responsabile di una testata giornalistica, il primo per la condotta di diffamazione a mezzo stampa, ai sensi delle disposizioni in questione e il secondo per quella di omesso controllo sul contenuto del quotidiano, ai sensi dell’art. 57 del codice penale) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e dell’art. 595, terzo comma, del codice penale. La prima disposizione censurata punisce la diffamazione a mezzo stampa consistente nell’attribuzione di un fatto determinato con la reclusione da uno a sei anni congiunta alla multa non inferiore a cinquecentomila lire (258 euro). L’art. 595, terzo comma, del codice penale punisce la diffamazione aggravata dall’uso della stampa, di qualsiasi altro mezzo di pubblicità o dell’atto pubblico con la reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore a 516 euro.
I profili di incostituzionalità evidenziati nell’ordinanza di remissione del giudice di Salerno sarebbero rispetto agli articoli 3, 21, 25, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 10 della Cedu. Al centro delle censure l’applicazione di una pena detentiva, seppure sospesa, ai reati di diffamazione a mezzo stampa, previsione che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, risulta generalmente incompatibile, in quanto eccessiva e sproporzionata, con la libertà di espressione tutelata dall’art. 10 della Cedu oltre che dall’art. 21 della Costituzione. Gli articoli 3 e 21 della Costituzione si assumono violati perché il rimettente ritiene che la previsione di una pena detentiva sia irragionevole e sproporzionata rispetto alla libertà di manifestazione di pensiero tutelata dall’articolo 21 della Costituzione. La comminatoria di una pena detentiva risulta, infine, lesiva del principio di offensività e del principio della finalità rieducativa della pena di cui, rispettivamente, agli articoli 25 e 27, terzo comma, della Costituzione.
Il Tribunale di Bari solleva in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 10 della Cedu, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge n. 47 del 1948, in combinato disposto con l’art. 595, terzo comma, del codice penale nella parte in cui sanziona il delitto di diffamazione aggravata, commessa a mezzo stampa e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, con la pena cumulativa della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore a 258 euro, invece che in via alternativa. I profili di incostituzionalità anche per il Tribunale di Bari, come per quello di Salerno, riguardano il fatto che la previsione di una pena detentiva per i reati di diffamazione a mezzo stampa sarebbe in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte Cedu in quanto, salvo casi eccezionali, incompatibile con la libertà di espressione.
Le norme censurate: L. 8 febbraio 1948, n. 47 Disposizioni sulla stampa. Articolo 13, Pene per la diffamazione. Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000. Nel Codice penale: Articolo 595. Diffamazione. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.