Condanna a ‘Il Fatto Quotidiano’ per diffamazione verso la famiglia Renzi

    Un nuovo capitolo si è aperto nella battaglia, quasi infinita, tra politica e stampa. I primi ad avviare le danze sono stati i grillini, che avevano accusato i media di diffamare il movimento. Chi si è scagliato duramente contro la stampa è stato il vice-premier, nonché ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio. A Di Maio non sono piaciuti i commenti che criticavano le sue riforme, a cominciare dalla manovra finanziaria, che ha trovato anche il riscontro negativo dell’Ue. Ma non stati solo i Cinque Stelle ad inverire contro l’informazione. Quando era primo ministro, Matteo Renzi aveva accusato ‘Il fatto quotidiano’ di Marco Travaglio di diffamare il nome di suo padre Tiziano Renzi, quando scoppiò il caso Consip. Un punto è stato segnato a favore dell’ex premier ; infatti il giornale di Travaglio, per la vicenda, è stata denunciata appunto per diffamazione e dovrà risarcire la famiglia Renzi. “Una notizia personale. Oggi è arrivata la prima decisione su una (lunga) serie di azioni civili intentate da mio padre, Tiziano Renzi, nei confronti di Marco Travaglio e del Fatto quotidiano”. Questo è il commento sul social network Facebook dell’attuale senatore del Partito Democratico Matteo Renzi. “La prima di oggi – si legge ancora – vede la condanna del direttore Travaglio, di una sua giornalista e della società editoriale per una cifra di 95.000 euro (novantacinquemila). Niente potrà ripagare l’enorme mole di fango buttata addosso alla mia famiglia, a mio padre, alla sua salute. Una campagna di odio senza precedenti. Ma qualcuno inizia a pagare almeno i danni. Volevo condividerlo con voi. Buona giornata, amici”. Il processo civile che ha visto schierarsi sui due fronti opposti Tiziano Renzi e Il Fatto Quotidiano, riguarda la stesura di 6 articoli diffamanti. Il Tribunale di Firenze ha deciso che per tre dei sei articoli non vi sono riscontri di atti diffamatori, e quindi ha assolto il quotidiano. Mentre lo ha condannato per i restanti tre articoli pubblicati tra la fine 2015 e l’ inizio del 2016. In totale, gli elementi sotto processo riguardano due editoriali e il titolo di un terzo articolo. Nel primo, intitolato “I Babboccioni”, parlando dell’indagine in corso a Genova sulla azienda in mano alla famiglia di Tiziano Renzi Chil Post, Travaglio aveva fatto ricorso al termine “fa bancarotta”; nel secondo articolo, dal titolo “Hasta la lista” Tiziano Renzi era stato accostato per “affarucci” a Valentino Mureddu, iscritto, secondo le cronache, alla P3. Il giudice ha giudicato diffamatorio invece il titolo di un articolo apparso on line inerente Banca Etruria e Tiziano Renzi firmato dalla giornalista Gaia Scacciavillani. Tiziano Renzi aveva chiesto danni per 300 mila euro.