(Adnkronos) – (Adnkronos/Cinematografo.it) – “Il mio più grande orgoglio è aver abbattuto una famiglia di miliardari, nel momento in cui in America i miliardari hanno un differente sistema giudiziario, ovvero totale impunità”. Parola della celebre artista e attivista Nan Goldin, protagonista di All the Beauty and the Bloodshed, il nuovo lavoro di Laura Poitras, premio Oscar per il documentario Citizenfour nel 2015. A Venezia 79 quale unico documentario in Concorso, racconta Goldin attraverso diapositive, dialoghi intimi, le sue rivoluzionarie fotografie e rari filmati nella battaglia per ottenere il riconoscimento della responsabilità della famiglia Sackler per le morti di overdose da farmaco. Non solo, il focus è sul suo percorso esistenziale e artistico, con particolare riguardo per la sorella Barbara morta suicida, i genitori anaffettivi, nonché gli amici avuti e perduti, già ritratti in Ballad of Sexual Dependency e nella mostra sull’AIDS Witnesses: Against Our Vanishing del 1989, censurata dal National Endowment for the Arts.
L’avvio del doc inquadra l’azione dimostrativa del P.A.I.N., il gruppo fondato da Goldin, per indurre il Met a rifiutare i fondi Sackler, ovvero i proventi della Purdue Pharma, che ha fatto miliardi di dollari producendo l’ossicodone, di cui conosceva gli effetti nefasti in termini di dipendenza.
Sulla genesi di All the Beauty and the Bloodshed, Poitras parla di “processo organico, attorno a un’artista che ha usato la sua influenza artistica per raccontare i fallimenti della società, prima con Witnesses e ora con PAIN, prima per l’Aids e ora con l’overdose da oppioidi: questa convergenza è stato il primo pilastro. Di impatto assoluto per storytelling, rappresentazione e coraggio, Nan si è svelata in interviste assai intime a casa sua nei weekend: siamo andati in profondità, anche con dolore, è stato un percorso straordinario”.
“Laura è una filmaker politica, ma io non avevo segreti di Stato da condividere”, dice Goldin, ma “lavorare con lei è stata una terapia senza terapista: le ho rilevate cose che non avevo mai detto prima. Essere oggi qui a Venezia è un onore”.
Il film, dice Poitras, “mostra per Nan quello stesso rispetto che lei ha sempre attribuito ai soggetti delle sue foto”, poi la regista torna sul “coraggio estremo dell’artista: parla di cose che generalmente rimangono private e distruggono le persone. Non bastasse, si è scagliata contro la corruzione e la filantropia dei Sackler come nessun altro, chi si sarebbe preso questi rischi? Insomma, Nan si meritava un film epico, in cui la sua mostra sull’Aids trovasse convergenza col presente”.
Premesso che oggi si sente “una vecchia signora” e che “la cosa più importante per un artista è dire no”, Goldin osserva come “da sempre lavoro sullo stigma, dalle forme di sessualità alle scelte di genere negli anni Settanta al rapporto tra uomini e donne, dall’Aids al disagio psichico, dall’autolesionismo alle droghe e alla crisi degli oppioidi. Le cose sbagliate vengono taciute, io spero che se ne parli”.
Se ancora oggi nel mondo “ci sono dieci milioni di persone malati di Aids”, Nan affonda il colpo: “Stigma e fobia uccidono le persone, la mai comunità è morta di Aids, ora non voglio ne muoia un’altra. Nulla va bene in America oggi, non ci si prende cura delle persone”.