La vera notizia a nostro giudizio non è l’attestata diminuzione delle nascite in Italia (lo scorso anno, rispetto al precedente, sono state oltre 12mila in meno), quanto il fatto che c’è chi si stupisce di tale situazione. Quasi fosse un mistero capire quanto costa crescere un figlio, in quali condizioni e, soprattutto in che Paese. Ma si sa, l’Istat tende giustamente a far ’statistica’, per cui numeri e situazioni vengono ’spalmate’ e a volte non danno realmente idea delle abissali differenze sociali – e quindi economiche – che caratterizzano attualmente la nostra società. Quindi l’Istituto di Ricerca sottolinea che dal 2008 al 2016 le nascite sono diminuite di oltre 100mila unità. E spiega che si tratta di un calo “attribuibile principalmente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani. I nati da questa tipologia di coppia scendono a 373.075 nel 2016 (oltre 107mila in meno in questo arco temporale). Ciò avviene fondamentalmente per due fattori: le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno numerose e mostrano una propensione decrescente ad avere figli”. Dunque nessun accenno al fatto che oggi spaventa mettere al mondo un figlio, in questo clima di povertà ed incertezza ma, diversamente, si ragione appunto sui fattori concomitanti. E dunque, il ’far media’ coincide con il calo dei matrimoni (anche questi ’costosi’ ed impegnativi: dalla ceriminia alla casa, ecc.), che hanno toccato il minimo nel 2014, quando sono state celebrate 57mila noze in meno rispetto al 2008. Tuttavia dal 2015 è stato registrato invece un +4.612 dei matrimoni, fino a toccare i quasi 200mila lo scorso anno. Questo perchyé l’Istat ha notato che di pari passo al calo delle nozze, sono state registrate molte meno nascite, e difatti spiega che “Il legame tra nuzialità e natalità è ancora molto forte nel nostro Paese (nel 2016 il 70% delle nascite avviene allinterno del matrimonio); ci si può quindi attendere nel breve periodo un ridimensionamento del calo delle nascite dovuto al recupero dei matrimoni. Secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio-giugno 2017, i nati sono solo 1.500 in meno rispetto allo stesso semestre del 2016. Si tratta della diminuzione più contenuta dal 2008”. Premesso che le donne italiane mediamente partoriscono 1,26 figli (nel 2010 1,34), e quelle cittadine straniere residenti 1,97 (2,43 nel 2010), l’Istat evidenzia “uno spiccato aumento della quota di donne senza figli: nella generazione del 1950 tale quota è stata dell’11,1%, nella generazione del 1960 del 13% e in quella del 1976 si stima che raggiungerà (a fine del ciclo di vita riproduttiva) il 21,8%”. Singolare poi anche la ’coincidenza’ che persino gli stranieri in Italia (nortoriamente per cultura abbastanza ’spensierati’ nel concepire), abbiano registrato una sorta di rallentamento. Dal 2012 infatti sono calati (-7mila), anche i figli con almeno un genitore straniero (nel 2016 il 21,2% del totale). Da notare che, per la prima volta – evidentemente anche loro ’arresi’ alla forte crisi economica – nel 2016 sono calati anche i neonati da genitori entrambi stranieri, attestatisi sotto i 70mila. Ma chi prolifica di più tra di loro? Secondo l’Istat i primi sono i romeni (15.417 nel 2016), poi i marocchini (9.373), quindi gli albanesi (7.798), ed infine i cinesi (4.602). Parliamo di comunità che complessivamente rappresentano il 53,6% del totale dei nati stranieri.
M.