Come riportato qualche giorno fa, il 2020, tra le altre cose, si è contraddistinto per un triste primato: 274 giornalisti finiti dietro le sbarre, senza contare quelli arrestati e rilasciati. Un record e un campanello d’allarme preoccupante. In molti Paesi la libertà di stampa e di pensiero sono ancora lontani e nel mondo i diritti dei giornalisti sono spesso un miraggio.
Dalla Cina, per due anni di fila sul gradino più alto del podio – se così si può dire – per numero di giornalisti arrestati, arrivano conferme. Oggi Zhang Zhan, 37 anni, ex avvocata e blogger, è stata condannata a quattro anni di carcere. Zhan raccontò, tramite social media quali WeChat, Twitter e Youtube, il Covid-19 a Wuhan nella prima fase della pandemia. Una cronaca che “ha raccolto litigi e provocato problemi”, scrivono i giudici del tribunale di Shangai.
Zhan aveva criticato il governo cinese per aver agito senza dare alla gente “informazioni sufficienti” sulla situazione. “Una grave violazione dei diritti umani“, scriveva Zhan. Criticare e mettere in discussione, però, dove non è concesso, spesso è deleterio. Zhan è stata arrestato nel maggio scorso per aver diffuso fake news. Adesso la blogger, “devastata dalla lettura delle sentenza”, versa in uno stato di salute preoccupante a causa di uno sciopero della fame iniziato a giugno.
Con lei altre tre persone, Chen Qiushi, Fang Bin e Li Zehua, che a febbraio hanno provato a far luce sulla reale situazione a Wuhan (e non quella raccontata dall’informazione di regime) sono in attesa di giudizio.
Mario Bonito