L’esperienza dello smart working va incanalata nell’ambito delle tipologie dei con-tratti di lavoro e gestita con criteri manageriali per sfruttarne le potenzialità e la carica innovativa, altri-menti rischia di finire nel libro dei ricordi dell’emergenza pandemica. A fare un bilancio del lavoro da re-moto dopo il boom del suo utilizzo provocato dal Covid 19 e a tentare di inquadrarlo correttamente, è l’ultimo numero di ‘Labour Issues’, l’osservatorio trimestrale sul lavoro che Cida, la confederazione dei dirigenti pubblici e privati e delle alte professionalità, realizza in collaborazione con il centro studi Adapt.
Il primo ostacolo, spiega Cida, riguarda l’eterogeneità delle definizioni e dei dati. Il lavoro da remoto è etichettato con diverse denominazioni: smart working, lavoro agile, lavoro da remoto, lavoro a domicilio, telelavoro. Ciascuna definizione porta ad una diversa rappresentazione del fenomeno; ad esempio, lo smart working implica un approccio ed una gestione manageriale, mentre lavoro agile è la declinazione normativa, per fissarne caratteristiche e regole. Per tale ragione nell’Osservatorio Cida-Adapt sono state utilizzate diverse fonti: Istat, Eurostat, Eurofound, indagine condotta da ManagerItalia e stime dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano.
Anche l’aspetto quantitativo risente di questa eterogeneità. Per Eurostat, la percentuale di occupati che nel 2020 ha lavorato da casa, rispetto al 2019, è cresciuta di 8,9 punti percentuali arrivando quasi al 14%. Dai dati dell’Osservatorio Politecnico, d’altro canto, emerge chiaramente come la pandemia rappresenti l’elemento di discrimine sulla diversa incidenza percentuale degli smart worker sui lavoratori potenziali in Italia. Si è infatti passati dal 15% del 2019 al 43,90% del marzo 2020. Da marzo 2020 a settembre 2020 si registra una diminuzione di 10,1 punti percentuali. L’incidenza invece torna a salire dopo settembre 2020 al 35,70%. Secondo l’indagine di Manageritalia, i lavoratori che tra settembre e dicembre svolgeranno il proprio lavoro a distanza, anche solo per pochi giorni alla settimana, saranno l’89,8%, con il 31,80% dei lavoratori che svolgerà la prestazione a distanza per il 90-100% del tempo.
L’insieme dei dati forniti permette quindi, in parte, di inquadrare il fenomeno nella sua complessità e nelle sue conseguenze di natura organizzativa e sociale. Infatti, non possono essere ignorate, insieme alle enormi potenzialità di cui giustamente spesso si parla, le possibili conseguenze in termini di rischi psico-sociali da isolamento o le conseguenze negative legate alle dimensioni di relazionalità e socialità che hanno profonde implicazioni organizzative. Dimensioni che toccano anche il ruolo dei profili dirigenziali e manageriali che più di altri hanno da un lato la possibilità, spesso, di svolgere il proprio lavoro da remoto ma, dall’altro, vedono tutti i rischi organizzativi della gestione remota di dinamiche aziendali costruite su un forte valore della pre-senza fisica.
“La necessità di reagire alle restrizioni di contatto e di mobilità ha generato soluzioni nuove, applicate rapidamente, grazie soprattutto alla lucidità e all’impegno di tanti manager” ha commentato Mario Mantovani, presidente di Cida.
“Ma ora riemerge la storica difficoltà, specialmente italiana, di ragionare in termini organizzativi, di applicare al lavoro principi articolati come obiettivi, risultati, processi, collaborazione, rendicontazione. Riprendono il sopravvento le vecchie rassicuranti abitudini di considerare il lavoro come una somma di ore, di navigare a vista, di reagire agli eventi senza programmare. Le Pubbliche Amministrazioni, con l’applicazione di limiti quantitativi generali, perdono l’occasione di accelerare un percorso di riorganizzazione e digitalizzazione sempre rinviato, sullo sfondo di nuove ed estenuanti trattative contrattuali. Ma anche il lavoro privato, salvo nelle aziende più strutturate, ritorna alle vecchie consuetudini e al fuorviante tema del ‘privilegio’, da concedere o meno, di lavorare in smart working. Si tratta di sviluppare coerentemente le organizzazioni, sfruttando una nuova opportunità, sdoganata nell’uso comune e non più relegata a casi marginali, per migliorare il lavoro”, ha commentato Mantovani.
A proposito di mercato del lavoro, il report Cida-Adapt mostra anche i segnali contrastanti dell’andamento quantitativo nei primi otto mesi dell’anno.
Rimbalza l’occupazione – solo quella dei lavoratori dipendenti – per effetto delle riaperture, ma sembra di nuovo flettere nel mese di agosto. La carenza di lavoratori stagionali, segnalata in tanti settori, mostra i suoi effetti specialmente nei servizi. Crescono i lavoratori nel settore delle costruzioni, in forte crescita e a rischio di surriscaldamento. Diminuisce la disoccupazione, ma riprendono ad aumentare gli inattivi. Tutto ciò senza che la rimozione del blocco dei licenziamenti mostri effetti significativi.
“I numeri sono fondamentali per comprendere la struttura del lavoro, ma riusciamo a vedere se e come cresce la qualità? Lavoro ‘buono’, ben retribuito, integrato con un welfare moderno è ciò di cui abbiamo bisogno. E questo lavoro è ancora troppo poco”, ha concluso Mantovani.