(Adnkronos) – E’ conosciuto nel mondo del calcio come ‘hombre vertical’. Per la sua coerenza, per le sue convinzioni, per il suo modo di vivere il campo. Luis Enrique non è più l’allenatore della Spagna. La Federazione l’ha esonerato con un freddo comunicato, che vuole attribuire a lui la colpa dell’eliminazione dai Mondiali ai calci di rigore contro il Marocco. Paga le sue decisioni e la sua ostinata determinazione a costruire una nuova Spagna, giovanissima, e destinata a dominare nei prossimi anni. Paga le scelte impopolari, dall’esclusione di tanti senatori alla ricerca continua di calcio spagnolo che non sia esclusivamente Madrid e Barcellona.
Nel corso della sua carriera, prima da giocatore e poi da allenatore, ha sempre accettato e vinto sfide difficili. E anche quando ha fallito, come successo a Roma non certo solo per colpa sua, ha lasciato il ricordo indelebile di uomo di calcio diverso dagli altri. Basta ricordare cosa dice di lui uno come Daniele De Rossi: “Mi sono innamorato di Luis Enrique per quello che proponeva in campo e per come si comportava con noi a livello umano”.
Luis Enrique è anche, e soprattutto, un grande allenatore. Ha raccolto l’erdità di Pep Guardiola al Barcellona e ha vinto tutto sulla panchina dei blaugrana, con il triplete della squadra di Suarez, Messi e Neymar. Sulla panchina della nazionale spagnola siede per la prima volta nel 2018.
Nel 2019 la sua avventura alla guida delle furie rosse si interrompe per un periodo, perché la figlia più piccola, Xana, muore per un cancro alle ossa, all’età di 9 anni. Quando torna, a novembre del 2019, si consuma la frattura con il suo vice Moreno, che aveva preso il suo posto. Agli ultimi Europei, porta la sua giovane Spagna a giocare un grandissimo torneo, che si chiude immeritatamente in semifinale, sempre ai rigori, contro l’Italia. Quello che succede ai Mondiali è cronaca di questi giorni, e di queste ore.