(Adnkronos) – Le due psicologhe del carcere di San Vittore a Milano, che hanno scritto una relazione su Alessia Pifferi, sono indagate per falso ideologico e favoreggiamento. Secondo il rappresentante della pubblica accusa le due psicologhe avrebbero “manipolato” l’imputata, a processo per l’omicidio della figlia di soli 18 mesi Diana, morta di stenti nel luglio del 2022.
Risulta indagata anche per falso ideologico anche l’avvocata Alessia Pontenani poiché, partecipe dello stesso “disegno criminoso”, avrebbe attestato “falsamente” per la sua assistita un quoziente intellettivo di 40, ossia di “deficit grave”, con “scarsa comprensione delle relazioni di causa ed effetto e delle conseguenze delle proprie azioni”.
Nel capo di imputazione del decreto di perquisizione si evidenzia come le tre professioniste, “in concorso morale e materiale tra loro, mediante più condotte esecutive del medesimo disegno criminoso”, hanno redatto – in particolare le due psicologhe – il diario clinico in cui “attestavano falsamente”, in una relazione, che Alessia Pifferi “aveva un quoziente intellettivo pari a 40 e quindi un deficit grave” con “scarsa comprensione delle relazioni di causa ed effetto e delle consequenze delle proprie azioni” utilizzando il test diagnostico Wais non idoneo per la detenuta.
Il rappresentante della pubblica accusa evidenzia, inoltre, come i colloqui in carcere non solo non sarebbero dovuti esserci – Alessia Pifferi non avrebbe necessitato di un ‘monitoraggio’ per il pm, in quanto “non è un soggetto a rischio di atti anticonservativi e si presentava lucida, orientata nel tempo e nello spazio, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e determinata” – ma soprattutto non hanno avuto come finalità l’assistenza psicologica quanto “discutere del procedimento penale a carico della Pifferi e qualificabile come vera e propria attività di consulenza difensiva, non rientrante nelle competenze delle due psicologhe”. Chiaro per il pm De Tommasi l’obiettivo: “Creare, mediante false attestazioni circa lo stato mentale della detenuta e l’andamento e i contenuti dei colloqui, le condizioni per tentare di giustificare la somministrazione del test psicodiagnostico” e fornire così all’imputata, “falsificando” la diagnosi, una base documentale che le permettesse di richiedere e ottenere l'”agognata perizia psichiatrica”.
Un ‘piano’ andato avanti fino a pochi giorni fa. Lo scorso 2 gennaio una delle due psicologhe, si legge nel decreto, scriveva di aver fatto un colloquio di monitoraggio e di sostegno psicologico con la detenuta, ma “si era trattato di un vero e proprio ‘interrogatorio’ finalizzato ad acquisire informazioni sui test psicodiagnostici somministrati alla Pifferi”, nell’ambito della perizia in corso, “sui contenuti dei predetti test e sulla tipologia degli stessi”, ma anche di domande “attinenti alle contestazioni sollevate dal pm” nel processo in corso davanti alla corte d’assise.
Le due psicologhe sono finite sotto la lente del pm di Milano non solo per questo caso. Il magistrato ha ordinato la perquisizione e il sequestro non solo dei documenti riguardo alla madre che nel luglio 2022 avrebbe lasciato morire di stenti la propria bambina, ma di altre quatto detenute. E’ uno degli elementi che emerge dal decreto firmato in procura a Milano e alla luce di una relazione firmata dalla polizia penitenziaria. In particolare si tratta degli atti relativi a una 54enne accusata di aver ucciso a coltellate il marito, di due giovani donne straniere e di un’altra madre in carcere con l’accusa di aver ucciso la figlia di due anni.
E’ un movente “antisociale” per scardinare il sistema dall’interno “goccia a goccia, un caso alla volta” quello che la psicologa di 58 anni, indagata dalla procura di Milano per falso ideologico e favoreggiamento insieme una collega che lavora nel carcere di San Vittore, sarebbe animata. Già protagonista di una vecchia annotazione della polizia penitenziaria, è il pm Francesco De Tommasi, titolare dell’inchiesta su Alessia Pifferi, accusata dell’omicidio della figlia Diana di soli 18 mesi, a indagarla e perquisirla e ad accendere i sospetti che l’uso di colloquio “per fini difensivi”, sia stato adoperato nei confronti di altre quattro detenute.
Quattro casi che, secondo indiscrezioni, potrebbe aprire un vaso di Pandora visto che nella mani degli inquirenti ci sono circa due mesi di intercettazioni di colloqui e telefonate. La donna, a cui sono stati sequestrati documenti e anche una notevole quantità di farmaci su cui occorrerà fare approfondimenti, da anni lavorerebbe nelle strutture milanesi a contatto con detenute che, a suo dire, sono “vittime” di un sistema da cui vanno salvate. Una visione ‘alternativa’ della giustizia che l’avrebbe portata, in un caso, a parlare con una detenuta per “discutere della strategia difensiva” in vista dell’appello per l’omicidio del marito e nel caso della Pifferi a sottoporla al test psicodiagnostico Wais, non idonei per la donna e finalizzato a ottenere la perizia psichiatrica.
Tra gli elementi sollevati dalla procura c’è anche “la telefonata che non ti aspetti” tra l’avvocatessa Alessia Pontenani, legale della Pifferi, e la 58enne psicologa in cui le due donne, riferiscono gli inquirenti, “si complimentano di avercela fatta”, ossia di aver eseguito quel test sul quoziente intellettivo entrato nel processo alla Pifferi, imputata che di recente ha ottenuto dai giudici della corte d’assise di essere sottoposta a perizia per verificare la sua capacità di intendere e volere quando, nel luglio del 2022, ha lasciato sola in casa, per quasi una settimana, la figlia di 18 mesi. La Pifferi, anche l’avvocatessa risulta indagata per falso ideologico e favoreggiamento, sarebbe stata “manipolata” nelle risposte da fornire durante il processo, così da evitare una condanna che rischia di essere molto lunga.
“Sorge il fondato sospetto che la perquisizione nasconda finalità estranee alla condotta commessa dalla mia assistita e voglia indagare sulla sua attività lavorativa complessiva, accusandola più per il merito dei pareri espressi che per il metodo con il quale si è pervenuti a tali pareri”. Lo afferma l’avvocato Mirko Mazzali, legale che tutela gli interessi di una delle due psicologhe. Per il legale si tratta di un provvedimento “finalizzato alla ricerca di documenti in possesso dell’istituto penitenziario e quindi facilmente rintracciabili, che pone sotto sequestro cellulari e computer per cercare fantomatici rapporti con una detenuta, nonché documentazione concernente altre detenute non oggetto dei capi di imputazione”.