La situazione è abbastanza allarmante, i costi insostenibili dell’energia si stanno traducendo in una ‘mattanza’, con le attività economiche, e le aziende in primis che, in crescendo, stanno annunciando imminente chiusura. Una crisi che investe ogni comparto delle filiere del Paese, uno sfacelo documentato da diverse agenzie di stampa, come l’AdnKronos, che hanno compiuto un’accurata analisi della situazione economica dei vari tessuti produttivi, rivelandone il legittimo pessimismo.
Come tiene a rimarcare Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo, “Se l’Europa e, o il governo italiano non mettono in campo a strettissimo giro misure volte a bloccare gli aumenti ormai insostenibili di gas ed energia, devono essere consapevoli che tireranno il freno a mano a intere filiere produttive, fra cui quella del legno-arredo, che saranno costrette a fermare la produzione, a mettere i lavoratori in cassa integrazione e a perdere competitività sui mercati. Purtroppo nel giro di pochi giorni la situazione è precipitata“, spiega ancora Feltrin, precisando che, quel che riguarda questo settore, si prospetta uno “scenario fosco che in tempi celeri coinvolgerà l’intera filiera del legno-arredo che riuscirà ad evadere gli ordini solo in base alle scorte di magazzino che, a voler essere ottimisti, possono durare al massimo un mese e mezzo. Tradotto già ad ottobre ci sarà il black out della nostra filiera”.
Chi fra i tanti davvero non può permettersi questi disastrosi rialzi energetici, sono sicuramente gli artigiani, realtà spesso a ‘conduzione familiare’ che, complessivamente, rispetto allo scorso anno rischiano di dover definitivamente chiudere bottega, in virtù dei circa 42,2 miliardi in più che dovranno pagare. Dal canto suo Confartigianato ha stilato un’impressionante prospetto, che indica i costi energetici a livello territoriale, che per le pmi superano il miliardo di euro, con 4,3 miliardi subiti dai soli imprenditori lombardi, ai quali seguono del Veneto con 2,1 miliardi, quindi l’Emilia-Romagna (1,9 miliardi), il Lazio (1,7 miliardi), la Campania (1,6 miliardi), il Piemonte (1,6 miliardi), la Toscana (1,6 miliardi), la Sicilia (1,2 miliardi), e la Puglia (1,1 miliardi).
Altro comparto fortemente penalizzato dai rincari energetici, quello del turismo e della ristorazione che, come lamenta Aldo Cursano, vicepresidente vicario di Fipe Confcommercio, le “Bollette in vetrina è il grido di allarme e dolore di chi come noi è costretto ad assistere impotente al default delle nostre aziende. A rischio adesso c’é un intero modello produttivo e distributivo del nostro Paese, perché quando le spese superano le entrate, il nostro sistema di imprese non sta più in piedi ed è concreto il rischio di ritrovarsi con il bar e con il negozio sotto casa spenti. E non per incapacità imprenditoriali, ma per impossibilità di sostenere questi costi“.
E’ a dir poco preoccupato, per non dire terrorizzato, Antonio Tonioni, presidente del settore ortofrutticolo di Confagricoltura Toscana, che denuncia “L’aumento dei costi energetici è diventato fuori controllo. Serve fare qualcosa subito, non aspettare le elezioni perché, in questa condizione, le aziende a fine settembre non ci arrivano. Il prezzo medio della componente energia pagato nel 2021 era 9 centesimi di euro per Kilowatt/ora. A giugno siamo saliti a 32-33 centesimi, poi c’è stata un’ulteriore impennata e siamo andati a 70 centesimi. Cifre folli”. Dunque, avverte Tonioni, “L’aggravio è pesantissimo e ingestibile. Parliamo di un rincaro dell’800%. La componente energia ha un aumento assurdo, le bollette sono triplicate. Aziende che producono, conservano, confezionano e distribuiscono sono in grave crisi”.
Strettamente legata a quella del trasporto, altro settore produttivo in ginocchio è quello della filiera agroalimentare. Come tiene a rimarcare il consigliere delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia, ”Sempre più insostenibili i costi energetici sostenuti dalla filiera agroalimentare italiana, che stanno portando le aziende a rallentare sempre di più la loro produzione”. Rallentamenti che vanno poi a scontrarsi, per ovvi motivi, i costi di produzione, soprattutto per quel che riguarda la parte agricola. Parliamo di con aumenti del 170% per i concimi, del +129% per il gasolio dei mezzi, fino al +300% delle bollette inerenti al pompaggio dell’acqua per l’irrigazione dei raccolti. Come dicevamo, qui più che mai il danno interessa l’intera filiera che comprende anche dell’industria, la catena del freddo, e la distribuzione, fino agli imballaggi, i bancali, i contenitori di plastica, il vetro, il metallo, le etichette, i tappi, e via discorrendo.
“Siamo impotenti, occorrono interventi urgenti per garantire la tenuta industriale del Paese e dei suoi territori più manifatturieri come Varese. Ha ragione il presidente Bonomi: è questione di sicurezza nazionale. Sono troppe le imprese messe a rischio sopravvivenza”, osserva amareggiato Roberto Grassi, presidente dell’Unione industriali di Varese, anche perché sempre più imprese del territorio “hanno manifestato l’intenzione di non riaprire dopo le ferie, e altre hanno già deciso di bloccare la produzione, perché a questi livelli, pur di fronte a un buon portafoglio ordini che caratterizza tutta la nostra industria, è ormai ampiamente diseconomico produrre”.
Se nel 2019 complessivamente si parlava di circa 4,5 miliardi per sopperire al bisogno di gas e corrente per produrre, oggi – rivelano le Confindustrie del Nord – a causa degli extra-costi seguiti all’impennata energetica, le industrie di Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna, stimano una forbice fra i 36 ed i 41 miliardi di euro di bollette. Dunque, perfettamente allineati con quanto dichiarato dal numero uno di Confindustria – Carlo Bonomi – i presidenti regionali: Francesco Buzzella (Lombardia), Marco Gay (Piemonte), Enrico Carraro (Veneto), ed Annalisa Sassi (Emilia-Romagna), evidenziano una situazione che “ha carattere di straordinarietà e urgenza indifferibile, perché è impossibile mantenere la produzione con un tale differenziale di costo rispetto ad altri Paesi Ue e extra Ue nostri competitor, che va a colpire non solo le imprese esportatrici dirette, ma anche tutta la filiera produttiva, con un effetto pesantemente negativo soprattutto sulle piccole e medie imprese”.
Intendiamoci, non è che al Meridione la situazione sia migliore. Come denuncia infatti il presidente reggente di Confindustria Lecce, Nicola Delle Donne, “Le imprese ormai sono di fronte a un bivio: continuare a produrre in perdita a causa dei costi energetici spropositati, oppure sospendere l’attività con disastrose conseguenze sul piano occupazionale e sulla stessa tenuta sociale“. Dunque, ‘avverte’ Delle Donne, “Non è possibile andare avanti così, occorre dare risposte certe, chiare e in tempi brevi alle imprese che fino ad oggi sono state capaci di andare avanti, superando una emergenza pandemica (che ancora non è del tutto alle nostre spalle), contando solo sul coraggio e sulla responsabilità sociale degli imprenditori“.
Max