(Adnkronos) – Non è stata Cosa nostra a fare sparire, dopo la strage di via D’Amelio, l’agenda rossa di Paolo Borsellino. A metterlo nero su bianco sono i giudici del processo per il depistaggio sulle indagini della strage che uccise, il 19 luglio del 1992, il giudice Borsellino e cinque agenti della scorta, nelle motivazioni della sentenza del processo a carico di tre poliziotti, depositate oggi in cancelleria.
Ecco cosa scrivono i giudici nelle motivazioni visionate dall’Adnkronos: “A meno di non ipotizzare scenari inverosimili di appartenenti a Cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di appartenenti alle forze dell’ordine, può ritenersi certo che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra”. “Ne discendono due ulteriori logiche conseguenze – scrivono i giudici – In primo luogo, l’appartenenza istituzionale di chi ebbe a sottrarre materialmente l’agenda. Gli elementi in ca,po non consentono l’esatta individuazione della persona fisica che procedette all’asportazione dell’agenda senza cadere nella pletora delle alternative logicamente possibili ma è indubbio che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e per conoscenze pregresse sapeva cosa era necessario e opportuno sottrarre”.
“In secondo luogo – dicono i giudici del processo depistaggio – un intervento così invasivo, tempestivo e purtroppo efficace nell’eliminazione di un elemento probatorio così importante per ricostruire – non oggi ma nel 1992 – il movente dell’eccidio di via D’Amelio certifica la necessità per soggetti esterni a Cosa nostra di intervenire per ‘alterare’ il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage e, in ultima analisi, disvelare il loro coinvolgimento nella strage di via d’Amelio”. Per i giudici di Caltanissetta, “movente della strage e finalità criminale di tutte le iniziative volte allo sviamento delle indagini su via D’Amelio sono intimamente connesse”.
Nelle quasi 1.500 pagine delle motivazioni, i giudici parlano poi “della presenza di altri soggetti o gruppi di potere co-interessati all’eliminazione di Paolo Borsellino con un ruolo nella ideazione, preparazione ed esecuzione della strage di via D’Amelio”. I giudici di Caltanissetta parlano di “plurimi elementi che inducono a ritenere prospettabile un ruolo, tanto nella fase ideativa, quando nella esecutiva, svolto da soggetti estranei a Cosa nostra nella strage, vero e proprio punto di svolta nella realizzazione della strategia stragista dei primi anni Novanta”. “Anche senza volere ritenere scontato che si possa parlare di ‘accelerazione’, più o meno repentina, non è aleatorio sostenere che la tempistica della strage di voa D’Amelio rappresenta un elemento di anomalia rispetto al tradizionale contegno di Cosa nostra volto,di regola, a diluire nel tempo le azioni delittuose nel caso di bersagli istituzionali e ciò nella logica di frenare l’attività di reazione delle istituzioni”.
I giudici di Caltanissetta, nelle motivazioni della sentenza del processo sul depistaggio, visionate dall’Adnkronos, parlano poi “di convergenze di interessi nella ideazione della strage di via D’Amelio tra Cosa nostra ed ambienti esterni ad essa”. “Oltre ai tempi della strage, oggettivamente ‘distonici’ rispetto all’interesse di Cosa nostra, vi sono ulteriori elementi che inducono a ritenere asfittica la tesi che si arresta al riconoscimento della ‘paternità mafiosa’ dell’attentato di via D’Amelio e della sua riconducibilità alla strategia stragista deliberata da Cosa nostra, prima di tutto, come ‘risposta’ all’esito del maxiprocesso e ‘resa dei conti’ con i suoi nemici storici”.
Occhi puntati soprattutto sulla sparizione dell’agenda rossa del giudici. “In sintesi – dicono i giudici – alla luce delle testimonianze raccolte non sono emersi nuovi elementi che consentano di dipanare l’intricata vicenda relativa alla scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino”. E bacchettano alcuni testimoni sentiti nel corso degli anni che “consegnano in quadro per niente chiaro, fatto di insanabili contraddizioni tra le varie versioni, tra l’altro più volte rivedute e stravolte, rese dai protagonisti della vicenda che non permettono una lettura certa degli eventi aumentando la fallacia di qualsivoglia conclusione tratta sulla sola base della combinazione tra le varie testimonianze”. I
In particolare, i giudici nisseni se la prendono con l’ex giudice Giuseppe Ayala. “Pur comprendendone lo stato emotivo profondamente alterato appare inspiegabile il numero di mutamenti di versione rese nel corso degli anni in ordine alla medesima vicenda”. Per i giudici “restano insondabili le ragioni di un numero così elevato di cambi di versione, peraltro su plurime circostanze del narrato”. Secondo i giudici nisseni, Paolo Borsellino, “si sentì tradito da un soggetto inserito in un contesto istituzionale”. (di Elvira Terranova)