“Io sono pentito di quello che ho fatto, di quello che non ho fatto non mi posso pentire, quindi io, anche a nome dei miei compagni di gruppo, non abbiamo da chiedere perdono a nessuno per quello che è accaduto in questa città il 2 agosto 1980. Anzi, ribadisco il concetto espresso da Francesca Mambro di fronte a una corte d’Assise di questa città qualche anno fa che ‘qui a Bologna non siamo noi che dobbiamo abbassare gli occhi. Se voi credete che dei ragazzini di poco più di 20 anni, addirittura dei minorenni, siano stati o siano la lotta armata o gli esecutori da parte di organi o gruppi di potere come la P2 o criminali come la mafia, come si sta cercando di far vedere in questi giorni a mio carico, fate un grosso errore e non fate un grosso servizio né alla verità, né al Paese“.
Così l’ex Nar Gilberto Cavallini, testimoniando in aula nell’ambito del processo per la strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna.
Una testimonianza che non ha però sortito nessun effetto: la Corte d’Assise di Bologna, presieduta da Michele Leoni, ha infatti deciso per lui l’ergastolo, condannandolo per strage, quindi ne ha disposto l’interdizione – in perpetuo – dai pubblici uffici. Oltrettutto, Cavallini dovrà ‘da subito’ ottemperare ad una provvisionale di 100mila euro per le parti civili che nell’attentato hanno perso il coniuge o un parente di primo grado; per coloro che hanno perso un parente di secondo grado o un affine di primo o secondo (50mila euro); per quanti hanno perso un parente o un affine di grado ulteriore (30mila euro); per chi ha riportato lesioni in proprio (15mila euro); e per quanti hanno un parente che ha riportato lesioni (10mila euro).
Dicevamo che l’ex Nar ha deposto davanti alla Corte d’Assise, raccontando di sè e della sua militanza, spiegando: “Sono in carcere dal 12 settembre 1983, ho perso il conto dei giorni, sono anni di galera che mi sono meritato, non lo contesto, li ho scontati tutti, sono pronto a scontarne ancora, la cosa non mi piace però lo accetto, perché comunque credo di avere fatto delle cose per le quali queste condanne siano state meritate. Quello che non accetto è dover pagare per quello che non ho fatto, non solo in termini carcerari ma anche di immagine e di credibilità. Noi, con i miei compagni di gruppo – ha aggiunto Cavallini – tutto quello che abbiamo fatto, lo abbiamo fatto alla luce del sole, a viso scoperto, lo abbiamo rivendicato, l’abbiamo pagato, ci siamo resi conto tutti che è stato tutto inutile e comunque sbagliato, in qualche maniera abbiamo cercato di riparare, chi più chi meno con i mezzi che poteva e, a questo punto, e non da oggi, trovarci ancora a dover subire la mistificazione della nostra storia è una cosa che io non posso accettare. Tutto il resto non ci appartiene”.
Guardandosi poi attentamente più a fondo, l’ex terrorista ha commentato: “Per quello che abbiamo fatto, qualcuno di noi ha lasciato anche la vita in mezzo alla strada, oltre alle nostre vittime, quelle che abbiamo causato, abbiamo lasciato a terra Alessandro Alibrandi, Giorgio Vale, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti hanno rischiato di morire, Luigi Ciavardini è stato ferito e io non sono stato ammazzato quando sono stato arrestato, per fatalità, perché ho fatto di tutto per offrire la mia vita. Poi io sono pronto a subirne tutte le conseguenze perché mi sono imposto di accettare tutto quello che mi viene e di offrire la mia sofferenza a Nostro Signore, quindi non mi lamenterò neanche di questo. Però non accetto che tutto questo venga spacciato, presentato come una verità alla quale sia doveroso credere“.
Poi Cavallini ha anche posto l’accento su una situazione che, a suo dire, avrebbe potuto ‘sfruttare’ con vantaggio: “Non ho voluto mai coinvolgere la persona che, il 2 agosto, ho incontrato e poteva fornirmi un alibi, farlo trascinare in tribunale per testimoniare se ha incontrato me, dopo 40 anni. Anche per una questione di principio, per me è stato un amico e non voglio metterlo in difficoltà su una situazione di cui non sono sicuro. E se non se lo ricorda? Oppure nel caso peggiore è incavolato con me che l’ho portato in tribunale, mi dà del pazzo e dice che non mi conosce? Che cosa viene fuori? Che sto nascondendo chissà chi e chissà cosa. E’ un falso problema – ha quindi proseguito – quello dell’alibi, anche perché, quand’anche questa persona dovesse attestare che sono stato da lui quel giorno, comunque avrebbe visto solo me e non Fioravanti, Mambro e Ciavardini, che erano al mercato a Prato di Valle (Padova). E’ un alibi che servirebbe solo a me. E già io non ricordo se quel giorno ci siamo effettivamente visti, né il suo cognome, né dove abita a Padova. Anche se lui testimoniasse che quel giorno eravamo insieme, sarebbe creduto? L’accusa direbbe che è un mio complice che mi filettava addirittura le pistole“.
“Luigi Ciavardini, forse con un’enfasi un po’ sbagliata, si è definito l’86esima vittima della strage, accostandosi a quei poveracci che ci han lasciato davvero la pelle ma, in qualche misura, anche noi siamo state vittima di questa situazione. Stiamo pagando in termini di galera ed ergastoli; la madre di un mio amico il cui figlio è stato incriminato si è buttata dal balcone ed è rimasta paralizzata a vita. Centinaia di ragazzini sono stati incriminati e scagionati dopo anni e alcuni hanno avuto la vita rovinata, altri si sono uniti a noi in conseguenza di questo, per la rabbia e ciò che ne è derivata” aveva aggiunto Cavallini, a margine del processo. Le vittime di questa situazione non si possono circoscrivere solo a quelle che sono rimaste sotto le macerie ma anche tutte quelle investite da quest’inchiesta giudiziaria che, per certi versi, ha assunto i toni della persecuzione giudiziaria. In questo senso le vittime sono tante”.
Riguardo poi gli aspetti a suo parere mai approfonditi, Cavallini ha anche tenuto a sottolineare: “Il lembo facciale ritrovato dopo l’esplosione della bomba alla stazione non appartiene a nessuna delle vittime riconosciute e la cosa scandalosa è che nessuno va a verificare. C’è una vittima sconosciuta che balla e nessuno va ad appurare se può essere vero o no e non è impossibile farlo perché, come ha detto il mio avvocato, le possibili vittime a cui si attaglia quel lembo facciale sono sei o sette, non di più. Abbiamo già appurato che quello scalpo non appartiene a nessuna di quelle vittime; quindi ce n’è una 86esima, sconosciuta, di cui nessuno parla – ha concluso – e potrebbe essere quella che trasportava la bomba o essersi trovata così vicino alla bomba che le ha strappato un lembo facciale, non è una cosa da poco, non ne ha parlato nessuno a parte noi, fanno tutti finta di niente“. Ad ogni modo ormai la condannata è stata data.
Max