Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko sta iniziando lentamente a cedere alle richieste dei manifestanti, che dal 9 agosto, data delle contestate elezioni presidenziali, protestano contro l’ultima dittatura europea.
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Solo ieri in decine di migliaia sono scesi in piazza a Minsk, marciando pacificamente fino alle sedi del Governo e della Commissione elettorale.
Dopo aver usato il pugno di ferro e invocato l’aiuto della Russia, Lukashenko, citato nel pomeriggio da una televisione locale, ha aperto per la prima volta alla possibilità di nuove elezioni. Ma solo dopo l’adozione di una nuova Costituzione.
“Abbiamo bisogno di una nuova Costituzione. Bisogna adottarla con un referendum e con questa nuova Costituzione, se volete, si potranno tenere sia elezioni legislative che presidenziali, e anche elezioni locali”, ha dichiarato il presidente. Solo poche ore prima, in vista alla fabbrica Mzkt, aveva giurato agli operai che non ci sarebbero state nuove elezioni. Lukashenko è stato accolto dagli operai della fabbrica, tra l’altro selezionati dalla dirigenza, da fischi e slogan come “Vattene” e “Bugiardo”. Non proprio una dimostrazione di forza dopo giorni di pressioni. Nonostante l’apertura, difficilmente l’onda democratica bielorussa potrà essere arginata. Il muro della paura ha iniziato a perdere i primi pezzi.
Nel frattempo il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha detto che segue la crisi nel Paese “da molto vicino”. Già nei giorni scorsi la sua amministrazione aveva chiesto alle autorità bielorusse di rispettare i diritti dei manifestanti e di iniziare un dialogo con la società civile.
Mario Bonito