Riparte il dialogo tra Joe Biden e Vladimir Putin e lo fa con una stretta di mano all’ingresso di Villa La Grange a Ginevra, in Svizzera, dove nel 1985 Ronald Reagan e Michail Gorbačëv si strinsero la mano per sette lunghi secondi. Il faccia a faccia di ieri non ha probabilmente lo stesso valore dello storico incontro di 36 anni fa, che piantò i semi della fine della Guerra fredda e di un mondo bipolare, ma è stato comunque un incontro “positivo” e “costruttivo”, utilizzando le parole dei due leader, in cui sono state trattate diverse questioni “senza ostilità” e rimarcate “le linee rosse” da non superare.
Nello stile dei tempi passati, a fine summit Biden e Putin hanno partecipato a due conferenze stampa separate (nel 2018 a Helsinki tra Donald Trump e il presidente russo si presentarono insieme), ma hanno firmato una dichiarazione congiunta “sulla stabilità strategica”. Il documento ufficiale sancisce “l’avvio, nel breve futuro, di un dialogo bilaterale […] che sia forte e deciso” e pone “le basi per future misure di controllo degli armamenti e riduzione dei rischi”. “Anche nei momenti di tensione – hanno accordato i due numeri uno – Stati Uniti e Russia hanno dimostrato di essere in grado di fare progressi sugli obiettivi comuni di assicurare possibilità di fare previsioni nella sfera strategica, riducendo il rischio di conflitti armati e la minaccia di una guerra nucleare”. Un conflitto che, affermano “non può essere vinto e non deve mai essere combattuto”. Un principio che richiama in causa sempre Reagan e Gorbačëv (questa volta a Reykjavík, in Islanda, nel 1986) e non fa male tirar fuori dal cassetto.
Ma questa volta c’è anche la Cina (assente a Ginevra), terzo incomodo tra le due superpotenze. Pechino “accoglie con favore – fa sapere il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian – il consenso raggiunto da Usa e Russia sulla prosecuzione del dialogo per la stabilità strategica”. Il Dragone rosso “ha sempre spinto – ha proseguito – affinché gli Stati dotati di armi nucleari riducano congiuntamente il rischio di una guerra nucleare ed è disposta ad avviare dialoghi bilaterali o nell’ambito della P5 (ndr: Consiglio di sicurezza Onu)”.
Al di là dei sorrisi da copertina (comunque pochi), sono stati tanti i temi discussi “senza polemiche – scrive il Corriere della Sera – ma marcando i dissensi”. Oltre agli impegni sul New Start (il trattato nucleare) e al disarmo, è stato trovato l’accordo per il ritorno degli ambasciatori nelle rispettive capitali nel segno della ripresa del dialogo bilaterale. Non sono poche, però, le questioni della discordia: dalla cybersicurezza ai diritti umani, passando per la crisi di Kiev e di Minsk.
“Ho dato a Putin una lista di sedici infrastrutture critiche”, ha detto Biden in conferenza stampa. Il Cremlino “sa che agiremo” se ci saranno cyberattacchi o interferenze sulle elezioni”. Il dossier hackeraggio è una questione spinosa: i recenti attacchi informatici ad aziende e a infrastrutture statunitensi segnalano una spaccatura profonda, confermata dalle parole di John Demers, responsabile della sicurezza nazionale al dipartimento di Giustizia americana. “C’è molta attività di questo tipo – ha detto – che proviene dai confini russi, che non è condotta dai dirigenti governativi russi ma che è tollerata dal governo russo”.
Poi ci sono i diritti umani. “Come potrei fare il presidente degli Stati Uniti se non denunciassi queste violazioni?”. La domanda di Biden è retorica, segna la differenza tra la sua amministrazione e quella precedente e chiama in causa il caso Navalny. “Ho detto a Putin – riferisce Biden – che se Navalny dovesse morire in carcere ci sarebbero conseguenze devastanti per la Russia”. Un argomento su cui il leader russo fa orecchie da mercante. “Questa persona sapeva di violare una legge russa e ha compiuto diverse volte lo stesso reato”, ha detto, senza nominare il dissidente in carcere, prima di elencare le malefatte di Washington, quali i bombardamenti in Afghanistan, Guantanamo e la repressione della polizia contro gli afroamericani. Paragoni bollati come “ridicoli” poco dopo dal suo collega, che ha voluto precisare: “Il mio programma non è contro la Russia, ma per il popolo americano”.
Anche sulla “politica estera” le divergenze sono tante, con piccole aperture sul fronte del Donec. “Ho detto a Putin il nostro incrollabile sostegno alla sovranità dell’Ucraina”, ha spiegato il leader statunitense. “Se l’Ucraina è disposta a farlo – ha detto Putin – agevoleremo gli accordi di Minsk”. Sulla questione ci sarà ancora molto da lavorare.
Un bilancio dell’incontro può essere tracciato dalle stesse parole del leader russo. Con Biden, “persona costruttiva e ragionevole”, “abbiamo trovato un linguaggio comune. Questo non vuol dire che ci prometteremo amicizia eterna o che dobbiamo cercare le nostre anime”. Questa volta il riferimento è rivolto a Bush junior.
Mario Bonito