Le sue pistole sono passanti fulminei difficili anche solo da seguire con gli occhi. La fondina è a forma di racchetta e lo sguardo come quello di un pistolero che si sta giocando la vita all’ultimo duello. Un po’ Sergio Leone ma soprattutto Quentin Tarantino. Matteo Berrettini è il nuovo fenomeno del tennis italiano ma da oggi è meglio chiamarlo Django, come il protagonista del film a cui si è ispirato per vincere il duello con lo spietato Gael Monfils.
Il titolo del film lo dà lo stesso tennista romano, 23 anni, semifinalista dello US Open, impresa mica da poco: “Se fosse un film sarebbe ‘Django’ di Quentin Tarantino. Mi ricordo di un gran bagno di sangue dove alla fine rimaneva in vita solamente una persona. Un po’ come questo match”. Il primo set è stato di studio, un po’ quando due pistoleri si seguono con lo sguardo e improvvisano una danza a specchio in cui si muovono all’unisono per saggiare la forza dei nervi dell’avversario prima di estrarre l’arma e infilare il colpo mortale.
Berrettini inciampa ma non cade, si rialza subito e batte in un commovente tie break Monfils: “Di solito faccio molta fatica in questi match – ha spiegato in conferenza stampa-. Sono rientrato nel pomeriggio e l’umidità era altissima. Ero sudatissimo, ho dovuto cambiare anche le scarpe. Però 5 set ti aiutano ad abituarti al caldo, ai rumori agli schermi. Sono sempre rimasto molto concentrato, ho fatto attenzione solamente alle cose importanti.
Avevo mille pensieri in testa: dove gioco, dove servo, lui che movimenti fa – ha detto -. Allora ho chiesto aiuto al mio istinto e da lì tutto è cambiato. Poi mi sono anche ricordato che quando metto peso sulla palla l’avversario lo sente. Il risultato è stato straordinario”. Venerdì sfiderà Nadal e gli servirà anche un po’ di Clint Eastwood per vincere: “ono veramente soddisfatto ma non mi posso fermare, non è concepibile come idea – ha spiegato a SuperTennis -. Sono molto ambizioso, sto già pensando al match di venerdì”, ha concluso.