(Adnkronos) – (di Elvira Terranova) -L’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta che “faccia piena luce sulla stagione del terrorismo mafioso”, che vide tra le vittime pià illustri il Presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella. “Una fase storica che inizia negli anni ’70 e si protrae fino al 1993”, nella quale, come evidenziato nell’ordinanza-sentenza emessa il 9 giugno 1991 dal giudice Gioacchino Natoli, “Palermo è stata l’unica città del mondo occidentale nella quale, nel breve volgere di pochi anni, sono stati assassinati i vertici più rappresentativi del potere statale e del sistema politico”. Un periodo che presenta “molti punti ancora da comprendere e da esplorare, che non possono essere ricostruiti soltanto con l’attività giudiziaria”. E’ l’appello lanciato dal Presidente del Tribunale di Palermo, Antonio Balsamo, alla vigilia del 43esimo anniversario dell’omicidio di Piersanti Mattarella, il Presidente della Regione siciliana, ucciso il 6 gennaio 1980 sotto la sua abitazione, davanti agli occhi della moglie Irma e dei due figli, Bernardo e Maria, mentre andava a messa il giorno dell’Epifania.
“Il fatto di puntare anche sull’impegno di altre istituzioni, oltre a quelle giudiziarie, è anche una forma di rispetto e di impegno comune per questa esigenza di verità, che esprimono con grande coraggio i familiari delle vittime – dice Balsamo in una intervista all’Adnkronos – Per loro, credo che sia altrettanto importante quanto la celebrazione dei processi. Perché ci sono una serie di limiti nel processo penale, che invece non impediscono l’accertamento di una verità storica condivisa”.
La vicenda giudiziaria sull’omicidio Mattarella è stata lunga e complessa. E non definitiva. Come mandanti sono stati condannati all’ergastolo i boss della commissione di Cosa nostra, da Totò Riina a Michele Greco, con gli altri esponenti della cupola, da Bernardo Provenzano a Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci. L’inchiesta, però, non è riuscita a identificare né i sicari né i presunti mandanti esterni. Nel 2018 la procura di Palermo ha riaperto l’inchiesta sull’omicidio. Nuovi accertamenti attraverso complesse comparazioni fra reperti balistici. Uno dei reperti del processo celebrato a Palermo, la targa di un’auto del commando, sarebbe stata divisa in due dagli autori del furto e una parte fu poi ritrovata in un covo proprio dell’organizzazione terroristica neofascista dei Nar. Oggi l’inchiesta, ancora a un punto fermo, è coordinata dal neo Procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunta Marzia Sabella.
“Io spero che ci possa essere, in questa legislatura, l’istituzione di una Commissione di inchiesta perché questo metodo può essere importante per far luce su tutti quegli aspetti ancora oscuri sulla nostra storia recente – dice Antonio Balsamo, che è stato il giudice estensore della sentenza del processo sulla strage di via D’Amelio – E’ un esempio di grande significato che il nostro paese potrebbe dare: l’Italia potrebbe diventare il luogo simbolo della capacità di affermare il diritto alla verità che spetta non solo ai familiari delle vittime ma a tutta la collettività”. “L’Italia – spiega il magistrato con un passato all’Onu di Vienna – con una Commissione di inchiesta, che ha la capacità di ricostruire fatti complessi con l’aiuto di tutte le istituzioni che possono dare un contributo, potrebbe diventare luogo di realizzazione di quel diritto alla verità che è stato riconosciuto dalle Corti internazionali, e in particolare dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”.
“Questo tipo di lavoro – dice ancora il Presidente del Tribunale – può essere fondamentale per fare piena luce anche laddove non è più possibile celebrare un processo penale. C’è una verità storica che può essere raggiunta con l’impegno di tutte le istituzioni. Sarebbe importante che ora venisse dato questo segnale. E’ un tema fortemente sentito in molti Stati in cui c’è stata una strategia terroristica da parte di organizzazioni criminali che si è protratta per anni. Si è cercato di costruire così un percorso di piena affermazione della democrazia”.
E ricorda che “su fatti come le stragi di Via D’Amelio e di Capaci negli ultimi anni sono venute alla luce prove importantissime che consentono di capire il contesto in cui si sono collocati questi eventi drammatici”. Parla, quindi, della “sentenza della Corte d’Assise di Bologna”, in cui i giudici, motivando la condanna all’ergastolo dell’ex componente dei Nar Gilberto Cavallini per la bomba alla stazione del 2 agosto 1980, condividono le iniziali intuizioni di Giovanni Falcone, poi abbandonate durante i giudizi di primo e secondo grado che affermarono la responsabilità esclusiva di Cosa nostra nel delitto Mattarella e condannarono un pezzo della Cupola senza mai individuare i killer del presidente della Regione siciliana, assassinato a Palermo il 6 gennaio 1980. “Un lavoro di grandissimo rilievo di raccolta di nuove prove e rilettura di un insieme di fatti con un’autentica coscienza storica. Insomma, potrebbe essere un impegno comune di tutte le istituzioni”, spiega Balsamo.
Perché, ribadisce Antonio Balsamo, nei processi penali ci sono dei “limiti” che per il Presidente del Tribunale sono “legati, ad esempio, al fatto che molti dei protagonisti della stagione di cui stiamo parlando potrebbero non essere più in vita. Invece, l’attività di una Commissione parlamentare di inchiesta può fare luce sulla strategia criminale che cercato di condizionare il corso degli eventi colpendo persone che hanno segnato la storia della Sicilia e dell’Italia, e tra queste c’è sicuramente Piersanti Mattarella. Si tratta, innanzitutto, di una persona che nel suo periodo di presidenza della Regione ha cambiato profondamente la considerazione della Sicilia nel contesto nazionale e internazionale”.
“La sua attività politica, condotta con altissimo rigore morale – spiega Balsamo – si colloca in una fase drammatica della nostra storia, nella quale la Sicilia è divenuta il crocevia del traffico internazionale di sostanze stupefacenti. E’ anche la fase in cui con questa attività illecita si accumulano enormi profitti, che diventano la base su cui viene costruito un rapporto nuovo tra mondo economico e mondo criminale. E’ una fase in cui si esprimono le peggiori potenzialità del fenomeno mafioso”.
“In questa fase c’è, invece, una persona che non solo opera in controtendenza rispetto a questa inquietante involuzione, ma riesce a diventare un grande punto di riferimento per tutta la realtà sociale e istituzionale, e un interlocutore fondamentale per alcuni dei più importanti leader politici nazionali ed europei – racconta ancora Antonio Balsamo nell’intervista – Perché Piersanti Mattarella, proprio in quel periodo, mette in pratica un progetto di profondo rinnovamento, che si riassume nella frase sulla Regione ‘con le carte in regola’ e che mira ad unire la trasparenza dell’azione amministrativa con una serie completa di riforme. E con un atteggiamento di intransigenza nei confronti di ogni possibile infiltrazione criminale. Ecco, questo suo modo di agire, per la prima volta, fa cambiare la considerazione della Sicilia nel contesto nazionale e internazionale”.
E ricorda una “serie di visite” in Sicilia che “vengono effettuate tra il settembre e il novembre del 1979 e che sono di grande significato. La prima è quella dell’allora Presidente della Commissione europea, Roy Jenkins, che viene a Palermo nel settembre del 1979. La seconda è la visita del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che fa una serie di tre giorni di incontri, anche presso l’Ars, nel novembre 1979. In questa ultima occasione c’è una espressione usata da Piersanti Mattarella che descrive benissimo le motivazioni di tante persone, le motivazioni migliori dei siciliani per portare avanti il rinnovamento”. “E’ una frase che io considero una bandiera per tutti noi. In sostanza dice: ‘La Sicilia è una terra ancora divisa tra rinnovamento e conservazione, che ha in sé una fortissima carica civile, un potenziale umano ricchissimo, efficaci strumenti giuridico-politici per il proprio riscatto’. Credo che non si potrebbe descrivere meglio quello che può significare oggi la Sicilia per gli altri Paesi. In realtà, l’attività di Piersanti Mattarella si può apprezzare sotto due profili: ciò che ha prodotto nell’immediatezza e i suoi effetti a lungo termine”.
“Nell’immediatezza l’impegno di Piersanti Mattarella non solo rappresenta un baluardo contro l’attività di una Cosa nostra sempre più internazionalizzata, ma spinge anche all’impegno politico e civile tutta una generazione di siciliani. Crea quel clima che conduce molte persone a impegnarsi nel campo della politica e della giustizia con la convinzione di dare il meglio di sé e di essere tra i protagonisti di una svolta storica. Sono convinto che tra le motivazioni forti che nascono in una generazione di siciliani c’è proprio questo grande messaggio lasciato da Piersanti Mattarella, che fa vedere ai giovani la politica come una attività nobile da svolgere al servizio della collettività, come una precisa ragione di impegno per tutti. Una visione analoga a quella espressa da Sandro Pertini sul piano nazionale”, spiega ancora Antonio Balsamo. “Questo è l’effetto che si produce nell’immediatezza, la visione di una Sicilia credibile nel contesto nazionale e internazionale, in cui i siciliani vogliono essere protagonisti della propria storia”, dice.
E parla di “una svolta” vera e propria che si realizza proprio nel 1980, “quando il giudice Rocco Chinnici assegna a Giovanni Falcone la trattazione del processo Spatola”, cioè quella fase in cui “si annuncia l’attacco allo Stato di Cosa nostra, attraverso una serie di delitti gravissimi, come l’omicidio di Cesare Terranova. Per me è particolarmente significativo che, proprio mentre c’è l’inizio di questo attacco allo Stato, e molti esponenti delle istituzioni non si oppongono alla mafia per paura o per convenienza, Piersanti Mattarella esprima un’altra idea della responsabilità individuale e del rapporto con lo Stato, quella per cui ognuno deve impegnarsi facendo il proprio dovere, costi quel che costi: un modo di pensare che si ritrova in una frase attribuita a John Kennedy che Giovanni Falcone citava spesso”.
Poi, c’è anche “un effetto molto più di lungo periodo” dell’esperienza umana e politica di Piersanti Mattarella. Una cultura, una visione che ha trovato espressione in due discorsi molti belli dal Presidente Sergio Mattarella che ha raccolto l’eredità ideale del fratello Piersanti – dice Balsamo – Il primo discorso è stato quello pronunciato il 31 dicembre 2019, quando il Presidente invita gli italiani a guardare l’Italia ‘dal di fuori, allargando lo sguardo oltre il consueto. In fondo, un po’ come ci vedono dall’estero’. Non si potrebbe esprimere meglio la visione di Piersanti Mattarella quando parlava di una Sicilia con le carte in regola”. “Subito dopo il Capo dello Stato parla del nostro ‘Paese, proteso nel Mediterraneo e posto, per geografia e per storia, come uno dei punti di incontro dell’Europa con civiltà e culture di altri continenti’, spiegando che ‘questa condizione ha contribuito a costruire la nostra identità, sinonimo di sapienza, genio, armonia, umanità’. È questa la concezione di cui era portatore Piersanti Mattarella. E poi c’è il discorso di fine anno appena fatto dal Capo dello Stato, quello in cui dice: ‘Dobbiamo imparare a leggere il presente con gli occhi di domani’. A mio avviso, se si dovesse riassumere il significato dell’esperienza politica di Piersanti Mattarella in una sola frase, sarebbe questa: una persona che ha saputo guardare al presente con gli occhi del futuro. C’è una eredità ideale che si è protratta nel tempo e che è entrata a far parte dell’identità più autentica del nostro Paese. Proprio perché si trattava di un fattore di rinnovamento con potenzialità straordinarie”.
Il delitto del 6 gennaio 1980 può essere ricondotto a una pluralità di letture. “Quando, ad esempio, durante l’omelia, il vescovo Pappalardo parla dell’omicidio di Piersanti Mattarella spiega subito una cosa: ed è l’impossibilità che il delitto venga ascritto solo alla matrice mafiosa, perché ‘ci devono essere altre forze occulte’. Due giorni dopo il delitto, l’8 gennaio 1980, l’allora Ministro dell’interno, Virginio Rognoni, parla di una ‘complicità operativa tra criminalità organizzata e terrorismo’. La stessa visione viene espressa nel dibattito successivo da Pio La Torre. In effetti questa impostazione è quella seguita da Giovanni Falcone, che conduce la sua ultima indagine importante proprio sull’omicidio Mattarella e sugli altri delitti politici. Dice che si tratta di delitti di matrice mafiosa ma il movente non è sicuramente o esclusivamente mafioso. Quindi, parla di saldature che implicano la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro paese. Questa visione storica profonda è la stessa che viene espressa nella sentenza del Maxiprocesso, in cui si parla di un disegno terroristico eversivo in cui si collocano anche l’omicidio del Procuratore Pietro Scaglione, le bombe collocate dal boss Francesco Madonia in vari uffici pubblici nella notte del 31 dicembre 1970, l’attentato contro l’on. Angelo Nicosia e la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro. Tutti fatti per i quali manca un accertamento processuale che abbia potuto fare piena luce. Per gli omicidi di Scaglione e De Mauro manca tuttora una ricostruzione processuale che abbia portato alla condanna dei responsabili. Si tratta però di fatti che restano di estrema importanza per capire la nostra storia e per costruire il nostro futuro”.
“La stessa sentenza, nel tracciare questo scenario, parla di una convergenza di interessi tra le finalità terroristico-intimidatrici dell’organizzazione mafiosa e gli interessi connessi alla gestione della cosa pubblica. Sicuramente questa prospettiva ha una sua forte plausibilità. Anche nella ricostruzione che viene fatta dal giudice istruttore Gioacchino Natoli, a proposito dei delitti politico-mafiosi, si sottolinea l’oggettiva convergenza di interessi tra realtà apparentemente diverse tra loro”.
“Del resto, l’omicidio di Piersanti Mattarella provoca una serie di effetti impressionanti – dice Balsamo – Sul piano locale c’è un fatto che davvero colpisce. Riguarda l’ispezione da lui avviata per fare luce sugli appalti riguardanti sei edifici scolastici, che erano stati assegnati a costruttori strettamente legati a esponenti di vertice di Cosa nostra Cosa; non a caso Riina concluderà la sua latitanza mentre era ospitato in una villa messagli a disposizione da uno di questi soggetti. Proprio in questo contesto, Piersanti Mattarella si rende conto benissimo di quello che sta capitando e ordina una ispezione su questi appalti, che viene affidata a un funzionario particolarmente impegnato, il dottor Mignosi. Il momento in cui questa ispezione viene condotta è lo stesso momento in cui viene preparato l’omicidio del Presidente della Regione. Il Comune di Palermo, subito dopo l’omicidio, si sente libero di manifestare la propria insofferenza ai controlli per ristabilire la legalità. Respinge così i rilievi scaturiti dall’ispezione. Questo avviene a due giorni di distanza dall’omicidio, cioè l’8 gennaio, nello stesso giorno in cui Rognoni effettua quell’intervento alla Camera. Sul piano nazionale, poi, c’è un effetto molto più rilevante. Cioè cambia la linea politica del principale partito di governo, la Dc. Prima del 6 gennaio 1980 era diffusa la previsione che Piersanti Mattarella sarebbe stato nominato Vicesegretario nazionale della Dc, il cui Congresso, fissato per il mese di febbraio, si sarebbe concluso con una maggioranza tra centro e sinistra. Il congresso invece si concluse in modo diametralmente opposto, con una completa sconfitta della Sinistra. E’ evidente la complessità dello scenario in cui si collocava il barbaro assassinio del presidente della Regione siciliana. Una ricostruzione riduttiva delle causali del delitto sarebbe vistosamente contrastante con la statura politica effettivamente assunta da Piersanti Mattarella – considerato dai più autorevoli protagonisti della vita pubblica dell’epoca come l’erede di Aldo Moro – e con il significato storico della sua azione all’interno e all’esterno delle istituzioni”.