(Adnkronos) – “Sta un po’ nascosta, la questione territoriale. E cioè quella del doppio divario tra centro e periferia e tra nord e sud. Sta nascosta, eppure è cruciale. Sarà sull’autonomia delle regioni che si giocheranno infatti nei prossimi mesi e anni il profilo del paese, il suo carattere, i suoi equilibri.
In apparenza il nostro quotidiano confronto politico oscilla sempre tra la drammaticità e la frivolezza. Nei giorni pari si incrociano i ferri sul premierato, e maggioranza e opposizione si affrontano in un duello che mette in questione l’assetto istituzionale che ci governa da una settantina d’anni a questa parte. Nei giorni dispari, come a cercare sollievo dall’asprezza di quella disputa, si scivola invece su argomenti molto meno impegnativi e capita che perfino il festival di Sanremo dia vita a un altro pezzo di confronto politico.
Curiosamente invece sul tema posto dalle regioni del nord che rivendicano briglie più sciolte per il loro operare c’è come una ritrosia a entrare in argomento. Un po’ perché il tema non appare ai più così appassionante. E un po’ perché da anni e anni esso viene svolto con una sorta di strumentalità a cui un po’ tutti hanno finito per partecipare. Sul principio dell’autonomia si dichiarano tutti d’accordo. Sul modo di attuarla si dicono tutti più o meno in disaccordo. E da un anno all’altro, da una legislatura all’altra, capita che ognuno si ritrovi infine più o meno in disaccordo con se stesso.
E’ una lunga, lunghissima storia. A suo tempo le regioni furono volute dai democristiani e avversate dai comunisti. Poi però il copione si rovesciò. E i partiti delle maggioranze centriste, imperniate sulla Dc, fecero del loro meglio per ritardare l’istituzione degli enti regionali onde non concedere ai loro avversari l’occasione di governare quei territori dell’Italia centrale dove i numeri favorivano grandemente le forze di opposizione. Se ne venne a capo solo alla fine degli anni sessanta, e di lì cominciò un’altra sfida. Fino a quando, trascorso un altro ventennio, cominciò ad affermarsi il leghismo nelle contrade del nord. E a quel punto però si ebbe un altro giro di valzer. Perché il centrodestra si proclamò federalista senza crederci più di tanto al solo fine di invogliare Bossi a schierarsi dalla sua parte. E il centrosinistra a sua volta si scoprì anch’esso federalista con l’intento contrario di strappare lo stesso Bossi al campo avverso.
Non si vuole negare che alcuni dei protagonisti di quelle stagioni credessero davvero, con nobile intento, alle parole d’ordine che pronunciavano. Ma resta il fatto che la gran parte di quelle parole avevano di mira ben altro. E cioè il modo di conquistare e magari consolidare una romanissima alleanza di governo. Questione a cui si dedicarono tutte e due le parti con un certo grado di reciproca strumentalità.
Ora però sembra proprio che stiano finendo la stagione degli spari a salve. E se il progetto di Calderoli andasse a buon fine per come è stato delineato è evidente che cambierebbe il paesaggio geopolitico del nostro paese. Poiché a quel punto le regioni avrebbero poteri ben più cospicui di una volta. E poiché potrebbero perfino attivare tra loro quei meccanismi di cooperazione che, spinti fino al loro limite più estremo, finirebbero per sfiorare una qualche forma di involontaria secessione -sia pure non voluta, o non del tutto.
Naturalmente si dirà che esistono molti modi di avviare questo percorso., Ed è facile prevedere che a frenare rispetto alle derive più estreme saranno sia la Meloni che il Pd. L’una in ragione del principio nazionalista a cui ha ispirato la sua azione politica fin da ragazza. L’altro in nome di quella sorta di partito della nazione (copyright Alfredo Reichlin) a cui guarda da sempre la gran parte della sua dirigenza. C’è da sperare che questa duplice azione di freno eviti accelerazioni troppo impetuose da parte dei fautori più estremi dell’autonomia.
Resta il fatto, un po’ paradossale, che si sta varando una riforma a cui la maggior parte delle forze politiche in cuor loro sono contrarie. Una riforma sospinta da una minoranza a cui però tutti hanno fatto la corte fin dagli albori della seconda repubblica. Una minoranza che ora sente di aver titolo e ragione per chiedere di passare dalle parole ai fatti”.
(di Marco Follini)