(Adnkronos) – “Da 11 anni a questa parte c’è stata una svolta. Sia il farmaco precedente che questo anticorpo hanno cambiato le sorti di questa malattia. Sono papà di una bambina colpita a 5 mesi di vita da sindrome emolitico-uremica (Seu) atipica che danneggia le pareti dei vasi sanguigni di reni e altri organi. Finita in dialisi, abbiamo effettuato 2 trapianti, ma senza una terapia farmacologica la possibilità di condurre una vita normale, fuori dalla dialisi, erano ridotte al lumicino”. Lo ha detto Paolo Chiandotto, presidente associazione pazienti Progetto Alice, intervenendo oggi a Milano nel corso di un incontro con la stampa organizzato da Alexion, Astrazeneca rare disease in occasione del rimborso ottenuto dal ravulizumab per i pazienti con questa malattia rara.
“L’infusione di plasma o plasmaferesi che avveniva nel passato come terapia nella fase acuta – continua Chiandotto – aveva una percentuale di efficacia molto bassa. Mia figlia, e tantissime altre persone sono fuori della dialisi solo grazie a questi farmaci. Non c’è paragone tra stare in dialisi 3 volte alla settimana e fare una infusione ogni 2 settimane, ogni 4 e ora, con il nuovo farmaco, ogni 8 settimane. Recarsi meno all’ospedale – ricorda il presidente di Progetto Alice – vuol dire essere meno legati all’ospedale psicologicamente, meno costi per i tragitti a carico delle famiglie, soprattutto per chi è distante dal centro di riferimento, con un netto miglioramento della qualità della vita, ma anche per i vasi sanguigni per l’infusione, che sono meno sotto stress”.
Esistono due diverse tipologie di persone con Seu atipica. Quelle che sono tate colpite prima o dopo l’arrivo di questi farmaci. “Chi è stato colpito prima – ricorda Chiandotto – è finito in dialisi nella maggior parte dei casi, se non nella totalità, per l’inefficacia delle terapie e necessita di un importante sostegno psicologico. Le persone che invece vengono colpite adesso – prosegue – devono avere una fase di assestamento e necessitano di un supporto psicologico al momento, ma non ragionano più in assenza di terapia e con diagnosi infausta. Al contrario parlano di un percorso di cura. L’aspetto di supportare le famiglie resta però fondamentale, soprattutto nel momento delicato della diagnosi”.
C’è un cambiamento di prospettiva. “Se diagnosticata in tempo e trattata in modo corretto – spiega Chiandotto – una persona ha una vita normale, è un dato di fatto. Una infusione ogni 8 settimane, rispetto alla dialisi di 3 volte alla settimana, deve essere considerato un ritorno a una vita normale. Ci son malattie peggiori. La qualità di vita è ottima, le persone possono continuare a lavorare. Non si conta quanto sia il valore sociale di queste patologie, le giornate perse al lavoro e a scuola, tutte cose che stanno migliorando in modo evidente”.
L’associazione, presente su web e social, “è un punto importante di riferimento non solo per indirizzare agli ospedali dove viene curata la patologia – ricorda il presidente di Progetto Alice – ma anche per il sostegno psicologico perché è una malattia acuta, che insorge improvvisamente e colpisce in poche ore. Anche la parte di sostegno psicologico a favore delle famiglie è importante. Cerchiamo però di supportare e di fornire anche supporto medico attraverso le nostre conoscenze per far sì che le persone vengano curate nel modo più rapido possibile”, conclude Chiandotto.