di Giovanni Miele
Sono giornate di scontri e di incontri per il PD nelle sedi ufficiali e in quelle ufficiose, nelle aule e nei corridoi. E’ il momento dei pontieri, di quel piccolo manipolo di deputati o senatori che hanno il compito di evitare che lo scontro in atto sull’articolo 18 porti ad una frattura insanabile all’interno del partito. Si ragiona e si vuole far ragionale su una possibile via d’uscita dall’empasse, determinata dalla contraposizione netta fra Matteo Renzi e i suoi uomini, convinti della necessità di dare un segnale forte di cambiamento all’Europa, ai potenziali investitori e ai giovani precari, da una parte e i rappresentanti dell’ortodossia della cultura di sinistra guidati da Bersani e da Susanna Camusso, dall’altra per nulla disposti a cedere di un centimetro sul piano delle garanzie per gli occupati. I pontieri invitano tutti a riflettere sulle possibili conseguenze dello scontro. Innanzitutto, se non si sbloccasse la situazione al Senato, il Presidente del Consiglio potrebbe essere costretto ad emanare un decreto legge e su questo dovrebbe chiedere un voto di fiducia. A quel punto se i numeri fossere sfavorevoli, sarebbe inevitabile una crisi di Governo ed elezioni anticipate. Lo stesso probabilmente avverrebbe nel caso di un soccorso azzurro al Premier, che si vedrebbe costretto a rifiutare i voti di Forza Italia e di Berlusconi. Uno scenario, questo, inquietante per molti perchè in realtà le elezioni anticipate non le vuole nessuno per diversi motivi, almeno finchè non sarà approvata la nuova legge elettorale. Con le regole attuali infatti, quelle del cosiddetto Consultellum, Renzi potrebbe sì comporre le liste, escludendo molti dei suoi avversari interni, ma, trattandosi di un proporzionale puro, non godrebbe del premio di maggioranza e subito dopo il voto dovrebbe fare di nuovo i conti con Berlusconi e il resto del centrodestra. Anche gli uomini della minoranza del Pd sanno che l’esasperazione dello scontro interno con eventuale scissione, alla lunga li porterebbe alla sconfitta e all’esclusione dal parlamento dove solopochi di loro potrebbero rientrare con una loro lista insieme agli altri gruppi della sinistra, ma soltanto come semplice testimonianza. Ecco allora che diventa centrale in queste ore, prima della direzione PD, il ruolo dei mediatori e le ricerca di una via d’uscita che non umili nessuno. L’ombrello e la copertura culturale e politica lo ha offerto già Giorgio Napolitano, col suo richiamo alla concretezza e all’abbandono di ideologie corporative. Ora occorrerà entrare nel merito. Sarà difficile però che i dissidenti possano rinunciare alle loro posizioni di principio e allora la scappatoia potrebbe essere rappresentata proprio dal decreto legge e dal voto di fiducia. In quel caso la minoranza, confermando le proprie posizioni politiche, potrebbe giustificare la marcia indietro col principio della disciplina di partito e con la necessità di non creare danni al paese in un momento coì delicato. Potrebbe richiamarsi all’appello del Capo dello Stato e il giorno dopo riprendere la guerriglia all’interno del PD, sempre nella prospettiva di una rivincita nei confronti del Rottamatore. Sarebbe in realtà il solito modo di risolvere i problemi, ma in questo caso si eviterebbe la ricorrente tragedia delle scissioni all’interno della sinistra, accontentandosi, ancora una volta, di mettere in scena la solita commedia all’italiana.