Arriva linfluenza ma, fasce deboli a parte (bambini, anziani, persone sottoposte a particolare terapie, ecc.), quante sono le probabilità di venirne contagiati? La risposta ce la fornisce una ricerca pubblicata sulla rivista ’Science’ da esperti dell’Università dell’Arizona a Tucson e della University of California a Los Angeles (Usa): il team ha esaminato 18 ceppi di influenza A e la proteina emoagglutinina presente sulla loro superficie. Ebbene, da approfonditi studi, sembrerebbe che le probabilità di una persona di prendere l’influenza sono, almeno in parte, determinate dal primo ceppo di malanno stagionale contratto da piccoli. Gli studiosi asseriscono che vi sono solo due tipi di questa proteina e un individuo risulta protetto da quello che il suo corpo incontra per primo, restando poi a rischio nei confronti dell’altro. E per gli studiosi, tutto questo potrebbe spiegare perché alcuni focolai di influenza causano più morti e malattie gravi nelle persone più giovani. Analizzando nello specifico il meccanismo, se ne evince che, la prima volta che il sistema immunitario di una persona incontra un virus dell’influenza produce anticorpi rivolti all’emoagglutinina, una proteina recettore posta sulla superficie del virus. Anche se ci sono 18 tipi di influenza A, esistono solo due versioni di emoagglutinina. I ricercatori guidati da Michael Worobey li hanno classificati come blu e arancione, come fossero “gusti di una caramella”. Dalle analisi condotte dal congiunto team di ricerca, le persone nate prima del 1960 sono state esposte alla versione ’blu’ dei virus influenzali – H1 o H2 – da bambini. Più tardi nella vita raramente si sono ammalate di un’altra influenza ’blu’ come l’aviaria H5N1, ma possono essere morte a causa dell’H7N9, ’arancione’. I nati dopo gli anni ’60 seguono il modello opposto. I ricercatori hanno calcolato un tasso di protezione del 75% dall’infezione e dell’80% da complicanze mortali in caso di virus con la stessa proteina dei ceppi che li hanno infettati quando erano bambini.