Dopo sei settimane di guerra, lunedì sera è stato firmato l’accordo trilaterale tra Armenia, Azerbaijan e Russia per un cessate il fuoco totale nella zona del Nagorno-Karabach, una regione in territorio azero conquistata negli anni Novanta dall’Armenia. Con il nuovo armistizio, il leader armeno Nikol Pashinjan si è impegnato a restituire il Nagorno-Karabach dopo un mese di sconfitte sul campo. Un accordo “estremamente doloroso per il nostro popolo”, ha detto Pashinjan, causato da “un’analisi della situazione militare”. Erevan non aveva più scelta.
Baku si riappropria così di un territorio, situato nel Paese ma popolato di armeni (anche a causa di pulizia etnica), perso nel 1994. Una guerra contemporanea ma “con radici profonde” con cui l’Azerbaijan “ribalta gli equilibri del Caucaso”, si legge sull’Internazionale.
Regista dell’accordo, dopo settimane di inaspettato silenzio, il presidente russo Vladimir Putin, che ha atteso i successi dell’offensiva di Baku prima di intervenire. Altro vincitore il leader turco Recep Tayyip Erdoğan, forte alleato degli azeri, inseritosi in una regione, quella del Caucaso del Sud, storicamente sotto l’influenza russa. Far rispettare l’accordo di pace, però, spetterà al Cremlino, che presidierà militarmente i territori caldi per i prossimi cinque anni. Grande assente nei nuovi equilibri l’Unione europea, sempre più incapace di giocare un ruolo al di fuori dei suoi confini.
Mario Bonito