Sin dall’inizio Uber, l’app per smartphone che permette ad autisti non professionisti di offrire un servizio di trasporto privato, è stata da sempre mal vista dai tradizionali autisti con licenza.
Questa applicazione offre diversi tipi di servizi, in alternativa o in aggiunta ai taxi e alle auto Ncc – noleggio con conducente – .
Tali servizi si differenziano per la diversa tipologia di veicoli utilizzati. Dalle berline a quattro posti ai mini-bus monovolume da cinque o più posti.
“Occorre disciplinare al più presto l’attività di trasporto urbano svolta da autisti non professionisti attraverso le piattaforme digitali per smartphone e tablet”: ovvero Uber e le app che consentono di accedere a questo servizio. Lo chiede l’Antitrust in un provvedimento, in risposta a un quesito del ministero dell’Interno su richiesta del Consiglio di Stato, sperando che “il legislatore intervenga con la massima sollecitudine” per regolamentare queste nuove forme di trasporto.
Giovanni Pitruzzella – presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato – chiede di “regolamentare queste nuove forme di trasporto non di linea, in modo da consentire un ampliamento delle modalità di offerta del servizio a vantaggio del consumatore”.
Per quanto riguarda UberPop, il servizio svolto da autisti non professionisti, l’Antitrust si richiama all’ordinanza con cui il Tribunale di Milano – bloccando l’utilizzazione dell’App sul territorio nazionale – “ha evidenziato che l’attività in questione non può essere svolta a discapito dell’interesse pubblico primario di tutelare la sicurezza delle persone trasportate”. Perciò l’Autorità invita il legislatore ad adottare “una regolamentazione minima di questo tipo di servizi”, con l’intento di “sottolineare con forza gli evidenti benefici concorrenziali e per i consumatori finali derivanti da una generale affermazione delle nuove piattaforme di comunicazione”.
Il 13 febbraio 2015 a Genova il giudice di pace Giovanni Gualandi ha accolto il ricorso presentato da un guidatore Uber, il quale era stato sanzionato mesi prima come tassista abusivo, affermando che il servizio offerto da UberPop non è riconducibile al taxi ma semmai al noleggio con conducente.
L’anzienda Uber, nata a San Francisco, ha portato scompiglio in diverse parti del mondo.
A Londra, la forte concorrenza di Uber ha portato alla chiusura della scuola dei tassisti.
Prima ancora che si estinguano i “black cabs”, i taxi neri simbolo della capitale britannica, rischiano di scomparire i “cabbies”, i taxisti, altrettanto tipici, che li guidano.
Knowledge College, la principale scuola che da trent’anni forniva una licenza di guida agli autisti dei taxi di Londra, ha annunciato che a dicembre chiuderà i battenti. La ragione è duplice: calo degli iscritti e aumento dell’affitto. “Avevamo mediamente 350 studenti all’anno”, racconta Malcom Linskey, il settantenne direttore dell’istituto, al Financial Times, “ora ne abbiamo meno di duecento e l’anno prossimo sarebbero ulteriormente diminuiti”.
“Knowledge”, il nome del college, andava inteso alla lettera: con un corso di sei mesi, gli studenti imparavano a muoversi con disinvoltura tra le 25 mila strade di una delle più grandi città d’Europa, un labirinto che pochi sanno attraversare senza perdersi.
Un responsabile della imminente chiusura, dicono gli esperti, è proprio Uber, il quale, ha messo sulle strade di mezzo mondo una flotta di taxi a minor prezzo, suscitando vaste proteste fra i tassisti tradizionali ma conquistando rapidamente una crescente fetta del mercato.
Ma la polemica non è servita e, qui come altrove, Uber continua a conquistare una fetta sempre più larga del mercato. “Questo era un mestiere passato di padre in figlio”, dice il direttore del Knowledge College.
Adesso, quando un autista di “black cab” va in pensione, spesso consiglia alla propria prole di cercarsi un altro lavoro.
Federica Manetto