(Adnkronos) – In 6 Comuni su 10 la contesa per la fascia tricolore è una questione esclusivamente maschile. Ben 497 i Comuni in cui non ci sono donne in corsa per la carica di sindaco alle elezioni odierne. La situazione inversa, ovvero i casi in cui non ci sono candidati sindaco di sesso maschile, si verifica solo nel 3% dei casi. Sono alcuni dei dati emersi da una ricerca condotta da Centro Studi Enti Locali (Csel), per Adnkronos, sulla base delle liste dei candidati coinvolti nelle elezioni amministrative 2022 pubblicate sul sito del Viminale e che riguardano 815 enti (mancano i dati di Friuli Venezia Giulia e Sicilia). Dall’analisi è risultato che, rispetto al totale di 2.072 candidati alla carica di primo cittadino in questa tornata elettorale, le donne rappresentano solo il 19% del totale. Percentuale che si riduce al 16% se si guarda ai soli Comuni sotto i 5mila abitanti. Il 63% dei Comuni dove le candidate non raggiungono la soglia di 1/3 del totale è localizzato nel Sud o nelle isole. Seguono Settentrione e Centro, rispettivamente con il 27% e 10%.
Se si guarda all’universo dei Comuni sotto i 5mila abitanti, sono 209 quelli in cui non è stato centrato l’obiettivo ‘quote rosa’. Rispetto alle amministrative 2021, si registra quindi un lieve miglioramento: si tratta del 44% dei Comuni contro il 50% della precedente tornata elettorale. “Una magra consolazione – sottolinea Csel – posto che i numeri, purtroppo, continuano a restituire un quadro di abissale differenza tra i due generi in termini di propensione a/possibilità di concorrere per questo tipo di cariche pubbliche”.
I due generi sono equamente rappresentati in 60 Comuni su 815, circa il 7%, contro il 20% della precedente tornata elettorale. Il numero di candidate donna supera il 50% in 47 casi su 815, circa il 6%. Nel restante 87% dei casi (contro l’80% delle amministrative 2020), i candidati uomini sono più di quelli di sesso femminile. In 60 Comuni, i candidati uomini hanno rappresentato percentuali pari o superiori all’80% del totale. Nel caso degli aspiranti primi cittadini, rientrano in quella soglia ben 519 Comuni, 6 su 10.
Un anno fa, ricorda Csel, il Consiglio di Stato aveva posto l’attenzione sul tema della bassa rappresentanza delle donne nell’ambito dei processi decisionali politici in Italia, sollevando la questione di legittimità costituzionale sulle norme che regolano le elezioni in questi piccoli enti, che in Italia rappresentano una quota tutt’altro che marginale: il 70% del totale. “Fatto salvo il principio generale che nelle liste dei candidati debba essere ‘assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi’, di fatto nei Comuni di piccole dimensioni, non ci sono sanzioni previste laddove venga meno il rispetto della parità di genere; quindi, la raccomandazione generale contenuta nel nostro ordinamento resta spesso inascoltata”, avverte Csel.
Diverso il caso dei Comuni più grandi, dove, non a caso, il ‘minimo sindacale’ del 33% di candidate donne viene sempre raggiunto. Nei Comuni con più di 15.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in ciascuna lista in misura superiore a due terzi dei candidati ammessi. Il mancato rispetto di questo vincolo comporta che la Commissione elettorale circondariale possa ridurre le liste cancellando, partendo dall’ultimo, i nomi dei candidati appartenenti al genere sovrarappresentato. Nel caso in cui, una volta operata questa riduzione, il numero di candidati ammessi sia inferiore a quello minimo previsto, si incorre nella ricusazione della lista.
Per gli enti con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti, invece, il mancato rispetto delle quote rosa implica la riduzione della lista, sempre mediante la cancellazione dei nomi dei candidati appartenenti al genere rappresentato in misura eccedente i due terzi dei candidati.