(Adnkronos) – “Come tutti sanno, di allergie alimentari si può morire e purtroppo capitano in Italia 2-3 volte all’anno casi letali”, come quello della ragazza allergica di 21 anni stroncata a Milano da uno shock anafilattico dopo una cena fuori che si era conclusa con un tiramisù vegano, il quale sembra contenesse invece tracce di proteine di latte. A tracciare all’Adnkronos Salute il quadro di queste allergie alimentari è Alessandro Fiocchi, direttore di Allergologia all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Storie come questa ci possono insegnare molto – evidenzia lo specialista – Secondo me una riflessione importante è che non c’è una legislazione precisa per l’etichettatura precauzionale in Italia e in Europa”.
Oggi, spiega, “se un alimento è prodotto come ingrediente di un cibo confezionato è obbligatorio dichiararlo e mettere la dichiarazione in evidenza con scrittura in grassetto sulla base di una legge italiana ed europea in vigore ormai già da 15 anni. Ma quando un alimento può essere contenuto come tracce dentro un prodotto confezionato, non c’è nessuna disciplina dell’obbligo di etichettare questa cosa. Quindi è possibile che in questo caso il produttore semplicemente non abbia fatto verifiche sul materiale che ha ricevuto, oppure che nel processo della catena di produzione o distribuzione dell’alimento ci possa essere stato il contatto con latte, yogurt, formaggi in una quantità sufficiente” per dare una significativa quantità di ‘inquinamento’ del tiramisù e “da determinare questo esito fatale”.
Bastano poche tracce per scatenare un’allergia? “Sì”, risponde Fiocchi. Gli anticorpi IgE che sono alla base di queste allergie “possono dare delle reazioni deflagranti, e hanno bisogno di un minimo innesco”.
“Una nozione comune tra gli allergologi alimentari – approfondisce Fiocchi – è che non esista una soglia al di sotto della quale non si può reagire. Mentre per esempio i celiaci hanno una soglia di 20 parti per milione sotto la quale si tollera la presenza di glutine, per le allergie alimentari questa cosa non pare essere vera. Tuttavia, proprio l’anno scorso con il mio gruppo e un altro team europeo abbiamo fatto una revisione della letteratura in cui si è visto che al di sotto delle 5 parti per milione non sono mai stati ritrovati casi di reazione grave. Quindi quello che manca in realtà è una legislazione nazionale ed europea che imponga alle aziende che producono prodotti preconfezionati l’obbligo di dosare le tracce dentro almeno campioni dei loro prodotti. Questa non è una cosa impossibile, perché per esempio in Giappone esiste e quindi potrebbe essere un modello”.
Negli Usa la responsabilità su questi temi è della Food and Drug Administration (Fda), in Europa dell’Autorità per la sicurezza alimentare Efsa, con sede a Parma. “Io sono certo che si può trovare una via: bisogna studiare veramente bene quali sono le dosi che hanno determinato le reazioni mortali e si vedrà che sono sempre al di sopra delle 5 parti per milione”, evidenzia l’esperto.
In Europa i prodotti più pericolosi dal punto di vista delle allergie alimentari “sono l’arachide e il latte”, rimarca Fiocchi. In Italia “più spesso il latte”, visti i consumi ampi. C’è ancora molta confusione nell’opinione pubblica quando si parla di allergia al latte. “Devono sparire due parole: intolleranza, che definisco una parola ‘intollerabile’ perché confonde le idee e viene utilizzata a bella posta da chi vuole allargare il mercato delle allergie – elenca Fiocchi – e l’altra parola è lattosio. Entrambe devono sparire dalla comunicazione sull’anafilassi che invece è una allergia alle proteine del latte”.
Quante persone ne soffrono? “L’allergia al latte nei bambini al di sotto dell’anno di vita colpisce tra l’1 e il 3% nella popolazione, però ha una prognosi buona: ogni 2 anni il 50% di questi bambini acquisisce tolleranza in modo spontaneo. Questo significa – precisa Fiocchi – che a 18 anni sono soltanto circa lo 0,1% o poco più le persone che sono rimaste allergiche al latte. Volendo trasformare questa quota in un numero, parliamo di circa 4.500 persone. Non sono poche e i rischi che corrono sono rilevanti. Poi c’è l’arachide, la nocciola e altra frutta a guscio”.
Per questo va affrontata una riflessione sul perfezionamento delle etichette, ribadisce l’allergologo. La linea del ‘può contenere tracce di’ “può essere un’arma a doppio taglio – avverte – Da una parte, se ci fosse stata un’indicazione di questo tipo nel prodotto consumato dalla ragazza, le avrebbe salvato la vita. Dall’altro lato, siccome questa dicitura può essere applicata ad alimenti che in realtà non si sa se davvero contengono la molecola citata, questa pratica restringe il campo delle possibilità alimentari di queste persone, che hanno una vita veramente limitata e si trovano a fare i conti con grossi problemi”.