(Adnkronos) – Un cittadino europeo su 10 è sieropositivo e non lo sa e questo porta a una continua diffusione dell’Hiv. E’ l’allarme lanciato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) commentando i dati del report pubblicato insieme a Oms Europa in vista della Giornata mondiale contro l’Aids del primo dicembre.
“Più di una persona su 10 che vive con l’Hiv in Unione europea/Spazio economico europeo non è ancora consapevole del proprio status, cosa che contribuisce alle diagnosi tardive a cui stiamo assistendo, ai risultati peggiori” nella cura “e alla continua diffusione dell’Hiv”, sottolinea la direttrice dell’Ecdc Andrea Ammon.
L’aumento delle diagnosi di Hiv registrato l’anno scorso, pari a un +4,2% nella regione europea dell’Oms – spiega – “potrebbe sembrare una cosa negativa”, ma “è la prova che stiamo andando nella giusta direzione – evidenzia Ammon – con molte persone che vivono con l’Hiv più in grado di accedere ai test, alle cure e ai servizi di supporto. Ma possiamo e dobbiamo fare di più”, esorta la numero uno dell’Ecdc.
Nel 2022 sono state 110.486 le diagnosi di Hiv registrate nella regione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità, di cui 22.995 in Unione europea/Spazio economico europeo, che hanno portato a oltre 2,4 milioni il totale delle persone con positività nota al virus dell’Aids. Il miglioramento dell’accesso ai test ha prodotto un aumento delle diagnosi di Hiv pari al +4,2%, con 37 Paesi su 49 che segnalano cifre in crescita e diverse nazioni che hanno riportato i numeri più alti mai registrati in un solo anno, emerge dal report pubblicato da Oms Europa ed Ecdc. “In tutta Europa – si legge – oltre la metà delle diagnosi di Hiv arrivano troppo tardi, con una conta di linfociti CD4 inferiore a 350 cellule/mm3, indicando la necessità urgente di capire cosa rende le persone non in grado o non disposte ad accedere al test e a cure tempestive”.
Tra i fattori che hanno contribuito all’incremento delle diagnosi di Hiv nel 2022, Oms Europa ed Ecdc citano “la ripresa delle normali attività di test dopo la pandemia di Covid-19, servizi di test ampliati e mirati, l’implementazione di nuove strategie di test”. Tuttavia, “sebbene nella regione europea siano stati compiuti progressi nella lotta all’Hiv”, per le autorità sanitarie “permangono sfide significative nell’identificazione e nel trattamento dei casi, nonché innanzitutto nella prevenzione dell’infezione”.
Oms ed Ecdc lanciano dunque un “appello urgente all’azione”, che sia “un’azione critica” volta a un “ampliamento dell’accesso ai test e alle cure per l’Hiv, insieme al riconoscimento e alla lotta contro lo stigma e la discriminazione persistenti che impediscono alle persone di cercare diagnosi e cure”. Tutti “passi fondamentali per fermare l’aumento dell’infezione”. Le due agenzie confermano il proprio “impegno a sostenere i Paesi dell’Ue/See e della regione europea Oms nell’accelerare i progressi verso il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile per l’Hiv. In stretta collaborazione con le organizzazioni partner impegnate a ridurre lo stigma, l’attenzione sarà focalizzata su attività di test, trattamento e prevenzione, nonché sul miglioramento della sorveglianza e del monitoraggio attraverso linee guida dedicate, workshop, webinar e supporto tecnico”.
Il rapporto diffuso in vista del World Aids Day evidenzia nella regione europea dell’Oms disparità regionali, con il 71,6% (79.144) delle nuove diagnosi effettuate nell’area Est, contro il 20,3% nell’Ovest (22.397) e appena l’8,1% nel Centro (8 945). Nella subregione orientale, i test Hiv e l’individuazione dei casi sono migliorati rispetto all’anno precedente – rilevano Organizzazione mondiale della sanità ed Ecdc – raggiungendo con trattamenti e cure un numero maggiore di persone non diagnosticate. I rapporti eterosessuali restano la via di trasmissione più comunemente segnalata nell’area orientale della regione, sebbene il contagio tramite sesso fra uomini sia aumentato in modo significativo negli ultimi 10 anni. Per le autorità sanitarie, queste variazioni regionali rimarcano “la necessità di migliorare i programmi di test e di affrontare le barriere” che ostacolano la diagnosi, incluso lo stigma che “assume forme diverse” e interessa “tutta la società”, insinuandosi persino “all’interno dello stesso settore sanitario”.
Dal report emerge che “anche il movimento di persone che convivono con l’Hiv nei Paesi Ue/See ha contribuito all’aumento delle diagnosi. Un notevole 16,6% delle diagnosi in Ue/See” va ricondotto a “persone arrivate in questi Paesi con una diagnosi esistente. Questi dati indicano la necessità di servizi di prevenzione e test verso i migranti – suggeriscono Oms Europa ed Ecdc – e di un rapido collegamento a servizi di trattamento accessibili per tutte le persone che vivono con l’Hiv nella regione”.
“Solide strategie di sorveglianza, monitoraggio e valutazione – ammoniscono gli esperti – svolgono un ruolo cruciale nell’identificazione e nella gestione delle vulnerabilità all’interno delle popolazioni chiave, consentendo alle autorità sanitarie di adattare i propri interventi per colmare le lacune esistenti e di adattare gli interventi ai cambiamenti osservati sul campo, come il notevole aumento della migrazione in tutta la regione europea”.