Le drammatiche immagini subito dopo il doppio attentato kamikaze nei pressi dell’aeroporto di Kabul, non ci abbandonano. Decine e decine di corpi nel canale dove si è fatto esplodere uno dei kamikaze durante l’attacco che è stato poi rivendicato da una sigla dell’Isis. Oltre 100 sono i morti mentre scriviamo. Ma c’è una storia, nell’inferno afghano, che vogliamo raccontare. Una storia d’amore, umanitaria e di speranza.
In questo girone infernale che è ormai la situazione a Kabul, parliamo di un giovane e brillante uomo afghano, l’ingegnere Rahmat Rezai, 28 anni, che vive in Italia a Piedimonte Matese (Caserta) da quando aveva 14 anni. Rezai è di etnia sciita mentre i Talebani sono sunniti. Sunniti e sciiti come sappiamo pregano in modo diverso e diverse sono le professioni di fede, l’odio è atavico e le persecuzioni e discriminazioni sono secolari.
Un amore coltivato con le videochiamate
La storia di Rezai è molto bella ma anche dolorosamente simile a tante altre storie di sacrificio, dolore, fuga da realtà di guerre e violenze. La guerra e la violenza accadono quando il linguaggio fallisce: Rezai dopo essere giunto in Italia viaggiando dal suo Paese natale, l’Afghanistan, con ogni mezzo, a piedi, a bordo gommoni, navi e infine stipato su un camion, rifugiato politico, in Campania ha trovato accoglienza, sostegno, affetto e la possibilità di costruirsi una vita. Si è infatti laureato a pieni voti all’Università Federico II di Napoli, lavorando in una società in pieno sviluppo e da un anno l’ingegnere Rezai ha conosciuto Sakina, giovane afghana di 22 anni con la quale sì è fidanzato, promettendosi promesso sposo: la giovane voleva frequentare la facoltà di medicina ma con i Talebani non è possibile. I due ragazzi si sono potuti frequentare e sentire soltanto tramite videochiamate, Sakina attualmente ha un cellulare solo per le emergenze. L’amore vince sempre su tutto ed è per questo che vogliamo raccontare questa storia ma all’amore si contrappone la tragedia umanitaria che soprattutto in queste ultime ore sta mettendo a rischio la loro possibile unione e il ricongiungimento in Italia: come altre migliaia di donne e ragazze, Sakina rischia la vita fino a quando non riuscirà a fuggire da Kabul e raggiungere Razei in Italia, è una corsa contro il tempo.
Sono oltre 5.000 gli afghani evacuati dall’inizio delle operazioni e l’Italia ha avuto un ruolo decisivo. Conclusa formalmente nelle scorse ore la prima fase, i Paesi Europei lasciano intendere che nei prossimi giorni ci potrebbe essere ancora qualche aiuto: Roma dovrà farsi trovare pronta. La Farnesina sta facendo il possibile, come per altri civili tra donne, bambini e bambine ma la situazione è complicatissima. Per fare in modo infatti che Sakina con il fratellino minorenne raggiungano il nostro Paese, è necessario che il Ministero degli Esteri e le autorità italiane inseriscano il suo nome e quello del fratello piccolo nell’elenco delle persone da proteggere. Da qui l’accorato appello alle nostre Istituzioni da parte di Rahmat Rezai, appello che abbiamo raccolto anche noi raggiungendo al telefono il giovane ingegnere.
Rezai, hai avuto notizie di Sakira questa mattina: hai potuto parlare con lei?
Sì, l’ho sentita telefonicamente ed è ancora bloccata a Kabul nei dintorni dell’aeroporto ma per fortuna è scampata all’attentato ed è ancora viva. Questa mattina si sono divisi. Lei è presso alcune donne mentre suo fratello, un ragazzino minorenne, è presso un’altra struttura con alcuni ragazzi e uomini. Ieri aveva lasciato il paesino di residenza sui monti ed era andata a Kabul, già verso le 8.00 era nella Capitale. Ci siamo detti che non era prudente avvicinarsi troppo all’aeroporto visto poi quello che è successo.
Erano riparati, Sakina e suo fratello?
“Hanno avuto molta paura ma erano riparati, Sakina e suo fratello non erano vicini al luogo dell’attentato anche se sono a Kabul. Lei sta bene, per fortuna. Mi sono messo in contatto costante con la Farnesina, avevo inviato mail ed ero pronto a farla partire già il 19 agosto ma per via di alcune situazioni che poi sono precipitate, non è stato più possibile. Temo sia troppo tardi ed ho paura, non so se riusciremo a fare qualcosa, è una corsa contro il tempo, la situazione ora è ancora più grave. Sto facendo tutto quello che posso ma naturalmente non dipende da me. “La speranza è l’ultima a morire” si dice ma temo fortemente che non si possa risolvere, non si possono mettere a rischio i militari italiani”.
Ripercorriamo la tua storia personale e come vi siete conosciuti
“Vivo in provincia di Caserta, a 14 anni sono arrivato in Italia, insieme a due amici. Non potevo immaginare che avrei potuto studiare e diventare ingegnere: ho messo il massimo impegno e devo ringraziare sia l’Italia che la famiglia che mi ha accolto dopo la mia permanenza presso la casa-famiglia. Non finirò mai di ringraziarli. Ho fatto le medie e il liceo, mi sono laureato in ingegneria meccanica il 26 marzo scorso. Adesso sto facendo tirocinio in azienda, ho voluto inseguire il mio sogno. Con Sakina ci siamo conosciuti online, sul web.. Sempre da marzo scorso, ci eravamo messi d’accordo per andare in Iran e vederci lì ma non è stato più possibile, purtroppo, per tutti i problemi terribili a cui stiamo assistendo. Per quanto riguarda il mio lavoro, in questa azienda mi trovo molto bene: si tratta di una azienda nuovissima in cui stiamo facendo la classica start-up per avviarla”.
Sei riuscito a coltivare e seguire il tuo sogno, ora ci sarebbe questo ulteriore sogno, di riunirti alla tua fidanzata. Quali sono i tuoi prossimi passi, cosa farai nelle prossime ore, riguardo a Sakina?
“Sto facendo di tutto per potermi riunire a lei. Ringrazio tutti coloro i quali mi stanno aiutando, la mia famiglia italiana, lo Stato Italiano, le Istituzioni e tutti gli amici che ho trovato in Italia. Non mi hanno mai abbandonato, ci sono vicini e sento il loro supporto. Li ringrazio di cuore. Ci sono persone buone, ci sono dappertutto ma le più corrette e generose le ho trovate qui”.
Alessandra Paparelli