Addio a Carlo Mongardini, sociologo e studioso di scienza politica. Professore emerito presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, si è spento all’improvviso, la notte scorsa, all’età di 82 anni. Al lutto nel mondo accademico si unisce il cordoglio espresso anche dall’amministrazione comunale di Grottaferrata, la cittadina in provincia di Roma dove risiedeva e dove dallo scorso settembre ricopriva la carica di presidente della Consulta per la Cultura, e in questa veste a giugno aveva firmato il primo manifesto di eventi, realizzato con successo nei Giardini di Patmos.
Classe 1938, come professore ordinario ha insegnato Sociologia fino al 1998 per poi passare alla cattedra di Scienza Politica. È stato coordinatore della Sezione ‘Teorie sociologiche e Trasformazioni sociali’ dell’Ais (Associazione italiana di sociologia), promotore e coordinatore degli Incontri Europei di Amalfi e del Premio Europeo di Amalfi per la Sociologia e le Scienze Sociali (1988-2010), prestigioso appuntamento che negli anni ha annoverato tra i vincitori nomi del calibro di Norbert Elias, Zygmunt Bauman, Anthony Giddens.
Instancabile animatore di scambi internazionali tra atenei, convegni e seminari, ha fondato anche il Dottorato in Sociologia della cultura e dei processi politici presso il Dipartimento di Studi politici della ‘Sapienza’. Sul suo manuale ‘La conoscenza sociologica’ si sono formati migliaia di studenti del corso di laurea in Scienze Politiche.
Ha dedicato i suoi studi a vari temi relativi alla storia della sociologia e del pensiero politico, alla cultura moderna e ai fenomeni politici come il potere, l’ideologia, il consenso, le élites politiche. Fra i suoi numerosissimi testi: ‘Ripensare la democrazia. La politica in un regime di massa’ (2002); ‘Capitalismo e politica nell’era della globalizzazione’ (2007); ‘L’epoca della contingenza’ (2009) e ‘Pensare la politica. Per un’analisi critica della politica contemporanea’ (2011).
Innumerevoli e sempre attuali le sue acute riflessioni, come questa, sul significato culturale del limite: “L’esplosione della tarda modernità nel tentativo di esaltare la vita al di là di ogni forma che la fissi culturalmente e storicamente ha trasformato la cultura in una ‘cultura del presente’. Al suo interno la vita, nella sua effervescenza, non incontra più limiti. Raggiunge l’’illimitato’, dove ogni contenuto, ogni indirizzo, ogni significato trova ospitalità e legittimazione. Ma se nell’illimitato presente la vita esplode senza confini né controlli, proprio perché il presente è un tempo che non finisce mai, ciò moltiplica anche le incertezze, le insoddisfazioni e le paure. Così mette in crisi la stabilità del legame sociale e le identità singole e collettive. La contrapposizione fra la pulsione vitale e l’esigenza di limiti, per definire i rapporti sociali, le identità e le finalità dell’agire, crea quel ‘disagio della civiltà’ (Freud) e quel ‘conflitto della cultura moderna’ (Simmel), nei quali, senza l’equilibrio del ‘limite’, alla spinta verso una sempre maggiore libertà si oppone l’imposizione di regole sempre più restrittive da parte di un razionalismo astratto. Il limite perciò significa non solo ordine, ma anche la potenzialità di aprirsi, a partire da una condizione storica certa, a un ulteriore processo di umana emancipazione”. Riflessioni e insegnamenti sempre vivi nella memoria dei suoi allievi.