“E mortoValentino Parlato, tra i fondatori del Manifesto, di cui è stato più volte direttore e presidente della cooperativa editrice”, è stata la home page del suo amato quotidiano a diffondere notizia della sua scomparsa, avvenuta oggi all’ospedaleFatebenefratelli di Roma. Solo qualche giorno fa Valentino Parlato aveva scritto il suo ultimo editoriale, non tradendo la sua convinzione ideologica: “Non possiamo non tener conto di quel che sta cambiando – scrisse parlando dei rivolgimenti epocali a livello mondiale, dalla politica all’economia – dobbiamo studiarlo e sforzarci di capire, sarà un lungo lavoro e non mancheranno gli errori, ma alla fine un qualche Carlo Marx arriverà”. Tuttavia Parlato, per la prima volta nella sua costante ed impegnata vita intellettuale, ammise per la prima volta – di aver clamorosamente tradito, ad 85 anni, le sue convinzioni: “Ero talmente indignato verso il Pd che per la prima volta ho tradito la sinistra, spero sia anche l’ultima”. Era lo scorso anno, quando i romani vennero a chiamati a scegliere tra Giacchetti e Virginia Raggi, ed egli si pronunciò a favore della candidata M5s. Ma in fondo quel voto, come tutta la sua esistenza aveva una verità di fondo: la protesta; non a caso, proprio 47 anni prima, giovane realtà del comunismo italiano, Valentino aveva dovuto lasciare il Pci, in quanto – soprattutto a seguito dei fatti di Praga – venne radiato per ’frazionismo’, dopo le posizioni eretiche assunte insieme a Rossana Rossanda, Luigi Pintor, ed Aldo Natoli. Nel Pci, in cui era uno dei leader dell’ala ingraiana, era entrato giovanissimo arrivando da Tripoli, in Libia, dove era nato nel 1931. Parlato si iscrisse al Partito comunista libico, ma nel 1951 venne espulso dalle autorità inglesi. Il resto è una costante lotta che, dopo l’uscita da Botteghe Oscure, intraprese col Manifesto, che diresse più volte. Al giornale ha dedicato due libri ’Se trentacinque anni vi sembrano pochi’, e ’La rivoluzione non russa. Quaranta anni di storia del manifesto’. Personaggio spesso controcorrente, anche rispetto alla sinistra che lo ha sempre considerato intellettuale di riferimento, nel 2012, getta la spugna: è l’ultimo dei padri nobili ad abbandonare la testata, ormai “è un giornale come gli altri”.
M.