(Adnkronos) – “Sono ancora troppe le disuguaglianze che caratterizzano il diritto alla salute nel nostro Paese. Disuguaglianze che diversi programmi elettorali presentati dai partiti in occasione delle elezioni politiche intendono affrontare mettendo prevalentemente mano a una revisione delle competenze dello Stato e delle Regioni – da una parte più centralismo, dall’altra l’autonomia differenziata – che inevitabilmente necessiterà di tempo, forse anni. Tempo che i diritti dei pazienti non possono più aspettare. Per questo è necessario agire ora e mettere in campo provvedimenti concreti che, nel breve periodo, senza necessariamente ‘scomodare’ la Costituzione, possano contrastare le disuguaglianze che attanagliano il diritto alla salute e il Servizio sanitario nazionale”. Così Tonino Aceti, presidente di Salutequità, associazione per la valutazione della qualità delle politiche per la salute, intervenuto all’evento ‘Stato e Regioni per l’equità nella Salute’, organizzato dalla stessa organizzazione all’interno del Forum Sistema salute in corso a Firenze.
Nella sua presentazione, Aceti fa alcuni esempi delle differenze in sanità. “In Italia la speranza di vita nel 2021 è stata pari a 82,4 anni, ma al Nord si vive mediamente 1 anno e 7 mesi in più rispetto al Mezzogiorno – sottolinea – Sempre nel 2021, a fronte di una rinuncia alle cure pari a circa l’11% a livello nazionale (nel 2019 era 6,3%), le differenze tra le regioni sono molto rilevanti: si passa dal 18% della Sardegna al 6% della provincia di Bolzano”. Ma c’è di più. “L’11,4% dei ricoverati residenti al Sud – continua Aceti – si è recato fuori regione per motivi di cura, contro il solo 5,6% dei residenti al Nord”.
Sul versante del personale sanitario, “la Campania può contare su 5,59 operatori sanitari per mille abitanti contro 10,97 della Valle D’Aosta”, fa notare il presidente osservando che, sull’accesso ai farmaci, “a fronte di una decisione nazionale dell’Aifa di autorizzare e rimborsare a carico del Servizio sanitario nazionale un nuovo farmaco per tutti i cittadini, esistono almeno 7 Regioni che hanno adottato un proprio Prontuario terapeutico regionale vincolante che, di fatto, rappresenta un passaggio ulteriore, rallentando l’accesso al farmaco da parte dei cittadini che vi risiedono. Se il Covid-19 e il Pnrr hanno chiarito la centralità delle cure domiciliari, a fronte di un’Intesa Stato-Regioni sugli standard per l’autorizzazione all’esercizio e l’accreditamento delle cure domiciliari siglata oltre un anno fa, circa metà delle Regioni deve ancora recepirla formalmente”.
Per garantire maggiore equilibrio nelle cure, Salutequità, avanza delle proposte. “Revisione dei criteri di riparto del Fondo sanitario nazionale, puntando sui reali bisogni sanitari della popolazione e sul criterio dell’equità – specifica Aceti – definizione degli standard di personale sanitario da garantire in tutte le regioni, degli standard degli assessorati regionali alla salute e al sociale, ma anche attuazione degli standard dell’assistenza territoriale nelle regioni”, e “rilancio, attuazione e monitoraggio stringente del Piano nazionale cronicità e del Piano nazionale governo liste di attesa”.
A livello burocratico, il suggerimento di Aceti è di “abrogare i Prontuari terapeutici regionali vincolanti, ripensare gli strumenti del Piano di rientro e commissariamento, approvare il ‘Decreto tariffe’ per dare attuazione ai Nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea) varati nel 2017”. A tale proposito, il presidente di Salutequità propone di procedere alla “definizione e approvazione dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali e al rafforzamento, ammodernamento e attuazione del Nuovo sistema di garanzia dei Lea, cioè il sistema di monitoraggio e valutazione del livello centrale rispetto alla capacità delle Regioni di garantire i servizi e il diritto alla salute ai cittadini, oggi fortemente inadeguato”.