A LEZIONE DELLA STORIA SUL CASO DELLA GRECIA: LA DIFFERENZA DAL CASO-ITALIA E’ CHE TSIPRAS NON HA MAI VOLUTO USCIRE VERAMENTE DALL’EURO

    All’indomani della soluzione del caso Grecia in ambito europeo sarebbe logico attendersi un arretramento graduale delle varie posizioni antieuropeiste anche all’interno del panorama politico italiano, non foss’altro che per un dato logico e storico reso sempre più palese dall’esito della questione greca: uscire dall’euro non è una scelta concretamente praticabile,specie nell’attuale scenario politico-economico globale, e i partiti politici che insistono su questo tasto in realtà appaiono attestati su posizioni irrealistiche, utopistiche, se non irrimediabilmente dannose qualora divenissero praticabili. Eppure in Italia,nonostante la lezione della storia della crisi greca,che forse deve ancora essere recepita, partiti politici e movimenti come la Lega Nord, Fratelli D’Italia, e Cinque Stelle circa la possibilità di un’opzione referendaria contraria all’art.75 della Costituzione, continuano a remare ostinatamente in tale direzione pericolosa ostinata e contraria. Qual è la differenza,dunque?  Semplice: mentre Tsipras e i suoi non hanno mai voluto uscire veramente dall’euro come moneta unica, e ciò resta dimostrato obiettivamente dalle dimissioni di Varoufakis all’indomani dell’esito del referendum popolare proprio per potersi presentare a trattare con posizioni meno intransigenti e con migliore entratura, nonchè dalle estenuanti trattative portate avanti dallo stesso Tsipras fino al raggiungimento dell’intesa con la U.E., in Italia,invece, molti partiti e leader politici sembrano convinti di poter assecondare l’opinione diffusa,anche a livello mass-mediatico, presso una buona parte dell’opinione pubblica, dell’uscita dall’euro come panacea. Dunque,per semplificare ulteriormente, si può pensare ad un gruppo dirigente greco che utilizza tutta una serie di tattiche, dal gioco delle parti tra Tsipras e Varoufakis,alle trattative e visite da Putin come interlocutore potenziale alternativo alla U.E., al referendum popolare, fino all’ultimo plateale colpo di teatro del gesto simbolico della levata della giacca durante le trattative finali come ad offrirla agli interlocutori europei (http://www.quotidiano.net/grecia-tsipras-sfila-giacca-1.1142180 ) , ma che in realtà mira dritto al risultato del migliore accordo possibile con la Troika e al rifinanziamento del debito greco a tassi agevolati rispetto a quelli di altri partners, Italia compresa, mentre, dall’altra parte, avremmo un’opinione pubblica italiana e un considerevole schieramento dell’arco parlamentare, persino con voci all’interno del Pd come quella di Stefano Fassina (http://www.europaquotidiano.it/2014/11/10/fassina-il-superamento-delleuro-come-opzione-politica/ ), che, se mandate a votare domattina, probabilmente farebbero sul serio in termini di uscita dalla moneta unica o di rinegoziazione dei Trattati. Storicamente questo significa che il popolo di Machiavelli avrebbe perso nel tempo le sue caratteristiche politiche pragmatiche e realistiche per cedere all’utopismo velleitario o all’avventurismo geopolitico, rifiutando quella che Carlo Cassola avrebbe definito la lezione della storia a proposito del paradigmatico caso greco,che dovrebbe invece svolgere una funzione dissuasiva,avendo dimostrato in realtà che,quella che spesso viene dipinta come una “gabbia”, in realtà fa comodo un po’ a tutti,compresi soprattutto i paesi del sud Europa che potrebbero trarre immensi vantaggi anche in termini di crescita da una moneta stabile e forte garantita per lo più da economie più affidabili e trainanti e che,in ogni caso, in una fase di congiuntura mondiale ancora difficile, rappresenta l’unico salvagente per i redditi medio-bassi,per gli stipendi e le pensioni laddove la scala mobile è stata abolita da più di ventanni. Soprattutto appare innegabile, ed è funzionale alla nostra sopravvivenza economica, che paesi con debiti pubblici storici esponenziali riescano ancora a trovare nella Banca Centrale Europea di Mario Draghi e nel mercato secondario dei finanziatori che siano riusciti ad ammortizzare e fronteggiare nel tempo la cosiddetta crisi dei debiti sovrani, cercando di far rimanere nelle mani di istituzioni finanziarie europee la gran parte di tali debiti appartenenti a paesi europei in difficoltà ed evitando eventuali scalate dall’esterno,quali quelle cui sono state assoggettate, ad esempio, le economie di alcuni paesi del nord africa,dopo le primavere arabe,guerra in Libia,ecc. (http://www.futuroquotidiano.com/cina-in-africa-investimenti-sfruttamento/ , http://www.africarivista.it/lascesa-dei-media-cinesi-in-africa/3329/ , http://www.eurasia-rivista.org/loperazione-libia-e-la-battaglia-per-il-petrolio/8640/ ). Interessante ed emblematica nella vicenda greca,nonchè degna di approfondimenti, anche la posizione di Putin sullo sfondo che,in un primo momento, sembrerebbe aver offerto coperture e aperture in caso di uscita della Grecia dall’euro, mentre, all’indomani del referendum, cioè quando i greci sembra che avessero cominciato a fare sul serio, almeno a livello di voto di massa, avrebbe registrato un arretramento forse memore delle logiche e dell’insegnamento politico di Yalta (http://www.investireoggi.it/economia/la-grecia-voleva-tornare-alla-dracma-ma-putin-non-aiuto-tsipras-allultimo-minuto/ ). Di certo si può solo immaginare che se Putin avesse appoggiato certi “piani di uscita”, più fittizi che reali,alla luce di quanto accaduto, si sarebbe registrata una pericolosa escalation nello scenario delle tensioni con la Nato e la Ue, considerando la situazione tutt’altro che tranquilla che si registra ancora sul fronte ucraino. Quindi, all’ultimo momento,probabilmente, deve aver temuto anche lui stesso uno scenario del genere,sebbene, ad una attenta riflessione, non sfugge come l’uscita della Grecia dalla U.E. e l’apertura ad una nuova area di influenza avrebbe potuto rappresentare la risposta strategica più valida,una sorta di contrattacco, rispetto all’uscita dell’Ucraina dall’area di influenza russa. Dall’esito dei fatti siamo in grado di ricavare altre due lezioni storiche: 1) che Putin non è in una posizione di forza tale da poter rispondere a quello che è avvenuto in Ucraina e nelle repubbliche baltiche (il passaggio di quasi tutta la cosiddetta Russia bianca nell’area U.E.), 2) che una volta affrontata la situazione greca nel modo che abbiamo visto, la Cancelliera Merkel e la U.E. non avrebbero problemi ad affrontare isolatamente un eventuale “caso Italia”, proprio perché l’intelligenza della politica U.E.  e della Cancelliera è stata quella di affrontare tali casi singolarmente,evitando di dover affrontare una fronda di coalizione. Infine,alla luce delle notizie di ieri sul crollo della borsa cinese (http://www.lastampa.it/2015/07/27/economia/nuovo-crollo-della-borsa-cinese-sui-mercati-europei-domina-la-paura-INI4F7P80NW2YWEso9vBdP/pagina.html ), e alla luce dell’impostazione che Hillary Clinton, probabile futuro presidente U.S.A., sta dando alla sua campagna elettorale, si ricavano altri due interessanti tasselli che ci appalesano per intero il mosaico dei futuri scenari del 2016: 1) la Clinton sta imitando Angela Merkel e la sta seguendo nelle sue intuizioni sulle energie alternative anche a tutela dei protocolli di Kyoto. Questo segnerà un maggior rinsaldamento dei rapporti e della collaborazione tra U.S.A. e U.E. che sono le uniche due potenze che stanno facendo qualcosa in concreto per il ricambio energetico che finirà anche per segnare un cambiamento totale negli assetti economico-finanziari e modelli di produzione, 2) L’unico modello mondiale basato sul rigore e sull’austerità,ma anche sui principi dell’economia sociale di mercato seguiti dalla Cancelliera Merkel e dal suo governo, e sull’efficienza e controllo istituzionale, cioè sulle basi dell’economia reale e non sulla volatilità delle economie artificiali è proprio quello europeo. Vale a dire che la stessa volatilità americana dopo la vicenda della “crisi dei mutui” comincia a guardare all’Europa come modello economico-istituzionale ed a fare affidamento sulla maggiore serietà-affidabilità di certi partners europei,ma anche che l’euro è destinato a diventare una valuta sempre più preziosa a livello mondiale nelle negoziazioni delle materie prime,con la conseguenza  che il modello finanziario europeo potrà fungere da riferimento per il resto del mondo,soprattutto sotto il profilo pubblicistico,istituzionale e culturale, con tutti i vantaggi che questo comporta anche in termini di influenza. In tale possibile scenario di recupero del ruolo storico europeo, si ha l’impressione che,per la sua posizione strategica, sempre favorita dagli scenari di contrapposizione o guerra fredda (vedasi sul punto  e anche sull’analisi di alcune ragioni geopolitiche del boom italiano o della migliore posizione economica fino al crollo del muro di Berlino e alla fine della guerra fredda riapertasi, in qualche misura, a seguito della questione ucraina,l’ultimo saggio-best seller di Angelo Bolaffi: “Cuore Tedesco”, Donzelli editore), se l’Italia sarà stata all’altezza di rimanere nell’euro, e di recuperare un ruolo a livello culturale,soprattutto con un’operazione di ricambio politico-istituzionale, anche se è tutt’altro che semplice, potrebbe ancora poter dire la sua. Per raggiungere un obiettivo del genere, tuttavìa, non abbiamo bisogno di proclami o di immobilismo rispetto ai modelli del passato,ma di progetti politici che,in concreto, propongano in sede europea e internazionale cosa l’Italia potrebbe fare in concreto,nel comune interesse, rimanendo nell’euro e in Europa e questo significherebbe anzitutto rinegoziare non i trattati o le direttive europee, ma il nostro ruolo economico e commerciale all’interno della U.E., essendo evidente che,una volta che la sede della Fiat è uscita dai confini nazionali ed ha spostato i suoi interessi strategici a Detroit e la sede legale nel Regno Unito, non possiamo continuare a pensare al nostro mercato come quello di produttori di automobili ed a sacrificare altri settori strategici in nome di un mercato dell’auto che,ormai,viene prodotta principalmente altrove e paga le tasse in Inghilterra (http://www.rischiocalcolato.it/2014/01/fiat-addio-sede-in-oianda-e-tasse-pagate-in-inghilterra-e-le-fabbriche.html ). Ovviamente,in una tale ottica, anche la continua ostentazione di rapporti particolarmente buoni con Putin, cioè con l’antagonista U.E. del momento, e quindi la stessa politica estera italiana dell’ultimo ventennio, sembra che debbano subìre una profonda rivisitazione,privilegiando modelli e interlocutori più affini al concetto di democrazia occidentale.