A 59 ANNI SI È SPENTO PINO PELOSI, ‘A RANA’, UNICO CONDANNATO PER L’OMICIDIO DI PIER PAOLO PASOLINI

    Era da diverso tempo in una gravissima condizione oncologica avanzata, e dopo alcuni giorni di ricovero al Policlinico Gemelli, appena ieri era stato trasferito all’Hospice Oncologico ’Villa Speranza’, dove è deceduto nel pomeriggio di ieri. Se ne va così un personaggio controverso e ‘storicamente’ popolare per il suo passato di ‘ragazzo di vita’. Pino Pelosi, per le cronache Pino ’la rana’, era infatti l’unico condannato in via definitiva per l’omicidio del regista-poeta-scrittore Pier Paolo Pasolini. Era la notte dell’1 novembre del 1975 quando, sul lungomare di Ostia, i carabinieri fermano l’allora 17enne Pelosi alla guida Pelosi dell’Alfa 2000 Gt rubata, intestata a Pasolini. Portato in caserma e messo sotto torchio, ‘la Rana’ confessa il furto e parla di un suo anello perso nell’auto. Ma gli inquirenti in realtà quell’anello lo ritrovano qualche ora dopo, a una manciata di chilometri di distanza: all’Idroscalo, accanto al cadavere martoriato dell’intellettuale. Pelosi viene intanto incarcerato per furto d’auto: dopo poche ore di detenzione, e confida al suo compagno di cella, di essere stato lui ad uccidere Pasolini: per lui è l’inizio della fine. Confessa l’omicidio, racconta di aver incontrato Pasolini la notte dell’1 novembre presso la stazione Termini e, dopo aver cenato nella trattoria ‘Biondo Tevere’ – vicino alla Basilica di San Paolo – passata la mezzanotte, i due raggiungono lo sterrato terroso del campo di calcio all’idroscalo di Ostia. Qui Pelosi, sulle prime avrebbe acconsentito ma poi subito rifiutato, un rapporto sessuale con lo scrittore. Pelosi raccontò che scese dall’auto seguito da Pasolini il quale, adirato, cercò di aggredirlo con un bastone. Di qui la sua violenta reazione, culminata con l’investimento, avvenuto più volte, con l’auto rubata allo scrittore. Una versione, questa ‘confessata’ da Pelosi a proposito dell’omicidio di Pasolini, che in realtà è poco convincente per tutta una serie di motivazioni, più volte ribadite negli anni. Fatto è che in tempi brevissimi, pur essendo un processo mediaticamente impressionante, il 26 aprile del 1976 sentenzia la condanna di primo grado. Pochi mesi dopo, il 4 dicembre, ha luogo l’Appello. La Corte di Cassazione darà poi il suo giudizio definitivo il 26 aprile 1979, condannando Pelosi la condanna a 9 anni. il 26 novembre 1982 la ‘Rana’ otterrà la semilibertà, ed il 18 luglio del 1983, la libertà condizionata. Ma come dicevamo, così come ripetuto in tutti gli ambienti per decenni, probabilmente l’omicidio di Pasolini è stato un delitto ‘politico’, e la versione di Pelosi non ha mai convinto nessuno. E a 30 anni di distanza, nel 2005, Pelosi cambia clamorosamente versione dei fatti. ’’Non fui io ad uccidere Pasolini’’, e rilancia così una pista investigativa mai battuta con la dovuta attenzione, pur essendo più volte ipotizzata: Pasolini sarebbe stato massacrato da un gruppo di picchiatori di destra, che volevano dargli una lezione. In realtà, così come ripetuto anche da altri eminenti scrittori e giornalisti, il clamoroso ’complotto neofascista’ suggerito da Oriana Fallaci, viene ribadito da Pelosi nell’ambito di rilasciata al programma Rai ’Ombre sul giallo’, andata in onda nel maggio 2005. E quando gli domandano: Perché lo dice solo ora, con così tanto ritardo? ’’Perché – risponderà – sono solo, non ho più famiglia, i miei sono morti. Ho 46 anni e pago per sempre quell’omicidio”. Purtroppo, anche per i troppi anni passati, punti di riferimento smarriti, e personaggi nel frattempo deceduti, non seguirà più nulla. Forse la verità se ne è andata per sempre con questo 59enne morto ieri. Chiamato dall’agenzia di stampa Adnkronos, Alessandro Olivieri, storico difensore di Pino Pelosi, ne ha commentato la scomparsa affermando: “L’ultima volta che ho parlato con lui? Ci ho parlato cinque giorni fa, ero stato a trovarlo in ospedale, stava molto male ma aveva una grande forza di volontà. Aveva dolori lancinanti e aveva una grande paura di non farcela. L’ultima cosa che gli ho detto è stata ’sbrigati a guarire che quando esci ce ne dobbiamo andare a Ibiza insieme’. Tornare a Ibiza era un suo grande desiderio. Se per la maggior parte delle persone se ne è andato un delinquente o un assassino per me se ne è andato via un amico con cui nel corso degli ultimi 10 anni sono riuscito a intrattenere un rapporto che andava ben oltre quello tra cliente e avvocato – aggiunge ancora Olivieri – Un amico con il quale ho avuto modo di conoscere un pezzo della storia d’italia. Parte di quelle informazioni da me sono ancora custodite e non sono mai uscite perché lui mi aveva chiesto di non divulgarle. Il ricordo che ho io è quello di una persona fantastica con cui si riusciva a sorridere. Tutte le persone a cui lo presentavo, che inizialmente erano prevenute nei suoi confronti, poi scoprivano una persona buona, altruista e disponibile verso gli altri. Se stavamo per strada e vedeva qualcuno in difficoltà si fermava e lo aiutava sempre. Purtroppo la vita non è stata particolarmente buona con lui e alcune disavventure lo hanno portato a commettere anche una serie di atti illeciti che ne hanno segnato la vita”. Un ricordo personale ha voluto lasciarlo anche l’avvocato Nino Marazzita, legale di parte civile per conto della famiglia di Pier Paolo Pasolini dal 1975: “Davanti alla morte un velo pietoso bisogna sempre stenderlo per un principio di civiltà. Per quanto riguarda il processo per la morte di Pasolini, Pelosi si porta nella tomba il segreto di come effettivamente si sono svolti i fatti” commenta all’Adnkronos l’avvocato Nino Marazzita: “Ogni volta dichiarava ai giornali o ai magistrati cose che erano già note. Ad esempio ricordo che io cercavo di fargli dire se con lui c’era o meno Johnny lo zingaro, ma lui ha sempre avuto grande paura di questo, mi diceva non c’era ma non mi convinceva. Quando mi vedeva nei dibattiti non mi ha mai considerato un antagonista – prosegue Marazzita – mi considerava tale quando era minorenne, ai primi processi e io lo interrogavo come avvocato di parte civile: lì sì, mi vedeva come un nemico, e io vedevo odio e paura nei suoi occhi. Poi sono passati anni, decenni… e l’ultima volta che mi ha visto mi ha abbracciato e baciato, credo che ormai mi considerasse uno di famiglia. Mi dispiace, spero abbia fatto una morte non dolorosa”.
    M.