Ieri, mercoledì 5 agosto, Facebook ha rimosso un post del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sul coronavirus. La causa? Secondo il social network, il post conteneva informazioni ritenute false. Trump aveva pubblicato un estratto della sua intervista a Fox News in cui affermava che “i bambini sono quasi immuni” dal Covid-19.
“Il video contiene informazioni false sul fatto che una categoria di persone sia immune al Covid-19”, ha affermato il portavoce di Facebook Andy Stone, spiegando che le affermazioni del tycoon rappresentano una violazione delle politiche del social riguardo alla disinformazione sul coronavirus.
È la prima volta che Facebook, criticata in passato per aver scelto la linea di non intromissione sulle frasi di alcuni politici, censura un contenuto postato da Trump.
Anche Twitter ‘censura’ il presidente
Anche Twitter ha preso un provvedimento analogo su un tweet, pubblicato dall’account della campagna elettorale di Trump e rilanciato dal presidente, che conteneva lo stesso estratto dell’intervista. “Viola le regole di Twitter sulla disinformazione relativa al Covid-19”, ha detto un portavoce del social di San Francisco.
In una successiva conferenza stampa, Trump ha fatto una parziale marcia indietro su quanto affermato, dicendo che si riferiva agli effetti della malattia sui più giovani.
Libertà e disinformazione: una difficile convivenza
L’esplosione dei social media e il loro ampio utilizzo da parte dei politici ha aperto un importante dibattito, destinato a essere centrale anche nei prossimi anni, sulla possibilità da parte delle aziende tecnologiche di rimuovere e censurare contenuti ritenuti falsi. Da una parte c’è la responsabilità delle piattaforme di non essere strumenti di diffusione di fake news, capaci di dividere un’opinione pubblica già fortemente polarizzata, dall’altra la necessità di non censurare le parole dei politici, responsabili delle loro parole di fronte agli elettori. Una posizione, questa, fino a ieri sostenuta anche da Facebook. Ma gli effetti di una cattiva informazione sono spesso devastanti, soprattutto per le generazioni future.
Per il momento, però, “non ci sono prove che suggeriscano che le regole delle aziende tecnologiche – si legge sul The Guardian – mostrino un pregiudizio politico di parte”, ma contengono norme precise contro l’hate speech, l’incitamento alla violenza e la dannosa disinformazione sul coronavirus.
Mario Bonito