Dieci anni dal Triplete dell’Inter. Dieci anni da una data storica per i colori nerazzurri. Tre trofei in un anno, un’impresa leggendaria conquistata da una squadra con Mourinho in testa. E proprio l’allenatore portoghese ha rivelato i segreti di quella cavalcata trionfale in un’intervista alla Gazzetta dello Sport: “Il meglio in carriera l’ho dato dove ero a casa, dove sentivo le emozioni del mio gruppo, dove sono stato al duecento per cento con il mio cuore: più una persona che un allenatore. Per questo a Madrid ero più felice di vivere la felicità degli altri della mia stessa felicità: io una Champions l’avevo già vinta. Mi è capitato di pensare prima a me che agli altri: all’Inter, mai. Questo succede in una famiglia. Dieci anni dopo siamo ancora tutti insieme”.
“L’abbraccio di Materazzi simbolo della nostra tristezza”
Continua Mourinho: “Il rumore dei nemici, che poi piangevano, era bellissimo: era più forte il tremore del rumore, e se ci pensa bene è la stessa cosa: quando c’è rumore è perché c’è paura. Scesi dall’auto per abbracciare Materazzi perché Marco era il simbolo della tristezza di tutti noi, e di quello che deve essere un giocatore di squadra”.
“Quella di Coppa Italia non la volevo giocare: l’inno della Roma prima della partita, arrivai a provocare “Fermate la musica o ce ne andiamo”. A Siena avevo paura: sei giorni dopo c’era la grande finale, temevo non giocassero quella partita come una finale. Zero a zero al 45’, la Roma vinceva 2-0, nello spogliatoio un caldo tremendo, non capivo come aiutare la squadra a svoltare tatticamente. Fu molto dura, e non finiva più. Avevo detto: “Un giorno mi piacerebbe vincere un campionato all’ultima”. Quel giorno mi dissi: “Mai più””, ha concluso lo Special One.