Un afflato contagioso quello che ha spinto milioni di iraniani a riversarsi nelle strade che disegnano la città natale di Qassem Soleimani (potente generale ucciso dal raid americano a Bagdad), dove stamane hanno avuto luogo le esequie. Un funerale solenne, trasmesso in diretta dalla città di Kerman – sita nel nel sud-est del paese – a chiusura dei tre giorni di lutto nazionale, proclamati dall’ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema dell’Iran.
Tale è stata la calca che i media locali hanno raccontato di ‘almeno 35 morti ed oltre 50 feriti’, letteralmente stritolati dalla ‘massa’ in marcia. Basti pensare che soltanto ieri nella capitale, hanno sfilato in ben 7 milioni. Questo per dare idea del quadro inquietante che segue un’azione, quella americana, che qui equivale a un vero e proprio atto di guerra.
A Teheran tirano ‘venti di guerra’…
Ed infatti quelli che in questi giorni tirano a Teheran, sembrano essere veri e propri ‘venti di guerra’. Almeno stando al duro tono con il quale l’Ayatollah ha giurato vendetta. Insomma una situazione delicatissima, come ha denunciato anche il ‘New York Times’, che ha riportato quanto pronunciato dalla Guida Suprema dell’Iran nell’ambito del Consiglio di sicurezza interno: “La risposta sarà un attacco diretto e proporzionato agli interessi americani”. Ma a preoccupare ulteriormente è il fatto che Khamenei abbia tenuto a sottolineare che l’attacco deve essere condotto ‘dalle stesse forze iraniane”, un fatto inedito in quanto, non è mai accaduto che dal suo insediamento (1979), il governo islamico si sia mai attribuito la responsabilità diretta di azioni militari od attentati.
L’Iraq all’Onu: condannate il raid Usa
Intanto, dopo aver parlato di “un’evidente violazione” in merito alla presenza dei soldati americani nel paese, e aver denunciato una ”pericolosa escalation che potrebbe portare a una guerra devastante in Iraq, nella regione e nel mondo”, l’Iraq si è appellata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, affinché condanni il raid Usa che ha ucciso sia Soleimani che Abu Mahdi al-Muhandis, numero due delle milizie sciite delle Unità di protezione popolare. In particolare Mohammed Hussein Bahr Aluloom rappresentante iracheno diplomatico presso le Nazioni Unite, ha chiesto che vengano riconosciute le colpe ”di chi ha commesso simili violazioni”, chiedendo inoltre che “l’Iraq non sia trascinato in crisi regionali e internazionali, per evitare che prevalga la legge della giungla”.
Negli Usa tutto tace: nessun ritiro dall’Iraq
In queste stesse ore sul fronte Usa, tutto tace, eccetto la grande opera diplomatica portata avanti dal segretario di Stato Mike Pompeo, nessuno si espone. Chiamato in causa, Mark Esper, capo del Pentagono, si è limitato a smentire la notizia del ritiro delle truppe Usa dall’Iraq: ”Non è stata presa alcuna decisione di andarsene dall’Iraq. Non abbiamo elaborato alcun piano”.
Max