“La Corte, nel nuovo procedimento, ha bocciato lo strenuo tentativo proposto dai ricorrenti di consentire l’identificazione mediante rimozione temporanea del burqa. E’ al quanto strano che associazioni per i diritti degli indifesi si battano per il riconoscimento del burqa, pratica alquanto discriminatoria verso le donne, considerate di proprietà esclusiva dai loro compagni musulmani al punto che nessun altro le può guardare”. La sentenza “non lascia altre interpretazioni – conclude – per le associazioni: la Corte condivide integralmente la motivazione del giudice di primo grado, ma questo sicuramente non basterà loro ed è scontato che si appelleranno in Cassazione.”
E’ quanto affermato da Riccardo De Corato, assessore alla Sicurezza della Regione lombarda, commentando quanto stabilito stamane dalla Corte d’Appello, che ha ritenuto corretto quanto deliberato dalla regione Lombardia, di vietare l’ingresso nei luoghi pubblici alle donne con i volti coperti da veli od altro. Nello specifico infatti, per ovvi motivi di pubblica sicurezza, la delibera del 2015 vietava di fatto il burqa in luoghi pubblici.
Una decisione subito contestata da diverse associazione ed onlus (come l’Associazione Volontaria di Assistenza sociosanitaria e per i diritti dei Cittadini stranieri, Rom e sinti, la Fondazione Guido Piccini per i Diritti dell’Uomo Onlus, l’Associazione degli studi Giuridici sull’Immigrazione, e gli Avvocati per Niente Onlus), che hanno deciso così di portare avanti al Tribunale la Regione. Ascoltate le motivazioni dei ‘contendenti’, il Tribunale milanese nell’aprile del 2017 ha stabilito che “il divieto di ingresso a volto coperto posto nella delibera appare giustificato e ragionevole alla luce della esigenza di identificare coloro che accedono nelle strutture indicate, poiché si tratta di luoghi pubblici, con elevato numero di persone che quotidianamente vi accedono per usufruire di servizi; pertanto è del tutto ragionevole e giustificato consentire la possibilità di identificare i predetti fruitori dei servizi”. Ed oggi la sentenza dell’Appello.
Il presidente del centro islamico: “un falso problema”
Raggiunto dall’agenzia di stampa AdnKronos, il dott. Ali Abu Shwaim, presidente del centro islamico Milano-Lombardia, cerca di minimizzare, affermando che si tratta di un problema inesistente: “Non vedo nelle strade di Milano e della Lombardia donne che indossano il burqa – commenta il dott. Ali Abu Shwaim – Le leggi vanno fatte quando c’è un problema, ma se il problema non c’è non ha senso. E’ un modo utilizzato per occupare la gente cosicché loro non pensino a cose più importanti. Io non conosco nessuno che a Milano mette il burqa. Io sono per la libertà di tutti – tiene a ribadire il presidente del centro islamico Milano-Lombardia – Ognuno può vestire come vuole. Non sento nemmeno come discriminante questa legge perché credo che sia più discriminante e importante la legge anti moschea che Regione Lombardia ha fatto”.
Santanchè: “liberiamo le donne. Milano non è un califfato”
“E’ dal 2007 che faccio questa battaglia sul divieto del burqa in Italia. Sono molto soddisfatta della sentenza della Corte d’Appello. Aveva fatto bene la Regione Lombardia con grande coraggio a portare avanti questa delibera. Io sto dalla parte delle donne, voglio liberarle. Il burqa non è una scelta delle donne, ma è un’imposizione del clan maschile della famiglia. Io quella di Regione Lombardia la ritengo una grande legge di libertà”. E ovviamente raggiante Daniela Santanchè, senatrice di Fratelli d’Italia, che aggiunge, “Il Governo dovrebbe prendere subito esempio da Regione Lombardia. La mia prima legge contro il burqa giace ancora in Parlamento dal 2006. In questo Paese non si ha il coraggio di dire no per questo finto buonismo, questa falsa solidarietà che dice il burqa va bene. In Italia – prosegue la senatrice – è vietato andare in qualsiasi posto con la faccia coperta. Se io vado in qualche posto con il casco integrale o il passamontagna mi fermano. Allora non capisco perché dobbiamo creare califfati che si sottraggono alla nostra giurisdizione. Non ci sono leggi speciali per nessuno. Ci sono leggi italiane. Non facciamo tante repubbliche islamiche, non facciamo repubbliche dei Rom, non facciamo repubbliche altre rispetto a quella italiana. Chi viene nella nostra Nazione si adegua, se non gli va bene il mondo è grande”. Infine la rappresentante di Fratelli d’Italia confessa che ho “provato a indossare il burqa e significa vedere il mondo a quadratini, come fosse una grata. E’ una prigione portatele dove non ti consente di vedere il mondo. Io escludo che ci sia una donna al mondo che per sua libera scelta decida di mettersi il burqa. Noi se vogliamo liberare questo mondo dobbiamo partire dalle donne, dobbiamo liberare le donne“.
Max