“C’era molto traffico. Impossibile correre. Si andava in colonna. Viaggiavo sulla corsia centrale. A un certo punto mi è tornato un attacco di tosse – ricorda Paolini, che in quei giorni aveva avuto episodi ricorrenti di una forte tosse secca -. E lì, come ho potuto rivedere nei fotogrammi di un filmato delle telecamere fisse di Autostrade, mi sono spostato sulla corsia di destra. E di colpo mi sono visto addosso alla macchina di Alessandra Lighezzolo e Anna Tovo. Loro erano su una 500, io su una station wagon. Un camion, in confronto. L’ho speronata. E l’ho vista volare sulla strada di sotto, sulla tangenziale. Dietro una siepe. Rovesciata. Per fortuna il traffico di sotto si fermò quasi subito. Senza ulteriori tragedie. Eravamo lungo una piazzola d’emergenza. Mi sono fermato, ho dato l’allarme. Non stavo telefonando. E neppure ricevendo messaggi. Dato l’allarme la prima cosa che ho fatto è stata quella di consegnare appunto il telefonino alla Stradale. Loro hanno potuto confrontare tutti i dati. L’ultima telefonata l’avevo fatta a mia moglie qualche minuto prima per dirle che arrivavo”.
Paolini: quella maledetta crisi di tosse
Un fatto orribile, ed un senso di colpa indicibile, che lo insegue da quel maledetto 17 luglio del 2018. Una crisi di tosse secca, la sterzata verso destra e l’impatto: la Fiat 500 scivola via come una palla da biliardo impazzita. Dentro due donne una delle quali, la 53enne mamma Alessandra Lighezzolo, pochi giorni dopo morirà per la gravità delle ferite riportate.
Non può e non vuole giustamente dimenticare l’attore Marco Paolini, quanto accaduto quel giorno percorrendo la A4, nei pressi di Verona. Lui ne uscì inerme fisicamente ma letteralmente ‘devastato’ spiritualmente. E prova a parlarne con il giornalista Gian Antonio Stella, mettendosi a nudo nell’anima. E’ vero è morta una donna ed il responsabile è lui, ma sapere di dover condividere il resto dei suoi giorni con la terribile consapevolezza di essere un omicida stradale, è un peso insopportabile. “Ho ammesso subito che era stata colpa mia. Che ero io, il responsabile. Io ad avere sbagliato – ricorda ancora l’attore – Ero lì bloccato, stupito di non essermi fatto assolutamente niente mentre avevo gravemente ferito altre persone. Era una cosa che mi rendeva furibondo. Era ingiusto. Spaventoso. Tutti sappiamo che cose così possono succedere. Che una distrazione, un errore, una svista possono creare danni irreparabili. Tutti gli amici hanno provato a tenermi su ripetendomelo. Ma non hai modo di prepararti a questo. Quando succede… Undici mesi dopo quel giorno non è cambiato molto. Posso provare a capire me stesso. Ma non riesco a perdonarmi”.
Quando il giornalista gli domanda cosa lo ha spinto a ripercorrere davanti a lui tutto ciò, Paolini risponde senza nemmeno pensarci: “C’è una sentenza. A mio carico. E c’è scritto nero su bianco: ‘omicida stradale‘. Capisco la parola usata dal legislatore. La capisco. Bisogna rendere le persone consapevoli del rischio che fanno correre agli altri quando guidano. È giusto. Ma la parola ‘omicida’, è un fardello enorme, soprattutto quando dal palco si parla di ‘una cosa fantastica. La vita’. E dentro la vita anche le cose più orribili ti fanno attaccare alla vita. Anche se dentro non riesco a perdonarmi… Non ce la faccio. So che tra me e me devo ancora fare un discorsetto. Non posso perdonarmi da solo. E non ho fretta di arrivarci. Non c’entra con la giustizia del tribunale. Con la sentenza. Con l’omicidio stradale. Il fatto è che quando ti rendi conto che una cosa è irreversibile… Insomma, niente è più come prima“.
Vincendo ogni remora di tipo morale, l’attore racconta anche di aver provato a contattare i familiari della donna: “Ho scritto privatamente a loro. Pur immaginando di essere, per loro, non voluto e molesto. Non ho ricevuto risposta. Capisco. L’avrei fatto anch’io. Poi ho scelto il silenzio. Ho pensato che qualunque cosa avessi detto sarebbe stata poco rispettosa nei confronti delle famiglie…”.
Una dura e dolorosa confessione che fa male perché, purtroppo, quanto accaduto all’attore potrebbe accadere a ciascuno di noi…
Max