In una lunga chiacchierata rilasciata a Vanity Fair, Gianluigi Buffon dice la sua sulla violenza negli stadi e del suo passato da giovane ultrà. “È difficile provare a contestualizzare quanto successo a Milano. Lodio è un vento osceno, da qualunque parte spiri. Non solo in uno stadio. Perché ho il forte sospetto che il calcio, in tutto questo, reciti soltanto da pretesto”.Buffon, poi, richiamando il suo passato nostalgico: “Commando Ultrà Indian Tips, il nome del gruppo di tifosi che seguivano la Carrarese, ancora ce lho stampato sui miei guanti. Incontravo gente di cui si parla tanto senza saperne nulla. Ragazzi normali. Sognatori. Idealisti. Alcune persone interessanti e qualche deficiente”. Buffon si esprime a proposito di tematiche sociali (“Se affonda un barcone a Lampedusa e muoiono 300 persone ci commuoviamo e pensiamo anche ad adottare i bambini rimasti orfani, ma se non affonda ci lamentiamo dellingresso di 300 immigrati e ci chiediamo cosa vengano a fare”) e di come un tempo prese molte manganellate dalla celere. “È una storia che risale a ventanni fa – puntualizza Buffon – Dopo una partita diedi un passaggio a un tifoso del Parma. Al casello cera un posto di blocco della polizia. Appena vide le luci blu, lui si dileguò. A confronto con loro rimasi solo io. Oggi, ovviamente, non commetterei più quelle leggerezze, ma riconosco ancora quel ragazzo capace di slanci di solidarietà nei confronti di un amico. Anche di un amico che sbaglia”. Un errore di gioventù, uno grave, ha saputo scanzonarlo: “Non drogarsi, non doparsi, non cercare altro fuori da te sono principi che i miei genitori mi hanno passato presto. A 17 anni, quando in discoteca mi mettono una pasticca sulle labbra, io so come e perché dire di no”. Giusto forse “un tiro di canna fatto da ragazzo”, e sottolinea lex numero uno della Nazionale – della “nuvola di fumo che avvolge i tifosi della Casertana, una nebbia provocata non dai fumogeni, ma da 200 canne fumate tutte insieme: è come se la vedessi ora”.