Si sono pentiti dopo aver capito la gravità del loro comportamento: così il Tribunale dei minori di Torino ha dichiarato estinto il crimine per i cinque ragazzi coinvolti nel suicidio di Carolina Picchio, ragazza quattordicenne che nel 2013 si è lanciata dalla finestra della propria casa poiché vittima del cyberbullismo. Gli imputati erano accusati, a vario titolo, di atti persecutori, pornografia infantile, diffamazione e morte come conseguenza di un altro crimine ed erano in libertà vigilata.
Dopo sei anni, non ci sarà traccia di quei crimini sul registro giudiziario. Sul piano umano invece rimane ancora una traccia dolorosa. “Non cè modo di riparare il dolore di un genitore che ha perso una figlia – dice lavvocato della famiglia Picchio, Anna Pennetta – Come avvocato, tuttavia, voglio ricordare che con la messa alla prova si tenta di tenere lontani i minori dal circuito criminale e lavorare sul loro reinserimento sociale: questi ragazzi hanno mostrato maturità e sembrano aver capito le conseguenze di un determinato uso del web “.
La storia di Carolina è diventato un caso simbolo di cyberbullismo. Il suo ex-ragazzo, arrabbiato alla fine della relazione, aveva pubblicato un video in cui la quattordicenne appariva in atteggiamenti intimi. Il video era diventato virale, aveva fatto il giro dei gruppi di Whatsapp e così iniziarono gli insulti, i sogghigni, le parole diffamatorie. Un onere insopportabile per la giovane donna che, esasperata, il 5 gennaio 2013, si è lanciata dalla finestra della sua casa a Novara. “Oggi sappiamo che il cyberbullismo, nella sua forma più crudele, non può essere minimizzato come una ragazzata, perché le parole fanno più male dei colpi – dice il padre, Paolo Picchio – Tutti hanno capito, anche quei ragazzi che hanno affrontato questo lungo cammino di riflessione e consapevolezza. Nel nome di mia figlia è stato celebrato il primo processo in Europa sul cyberbullismo e le è stata intitolata la prima legge per proteggere i minori nellarea del cyberbullismo, ma non è abbastanza – sottolinea – è per questo che noi istituiremo una No Profit, Carolina Foundation, con i migliori esperti in educazione, formazione, legale e comunicazione, in modo che possiamo metterci al servizio di famiglie e ragazzi. Perché oggi come oggi non cè distinzione tra reale e virtuale. Oggi rivivo i tanti, tantissimi incontri pubblici di questi anni. In quegli innumerevoli abbracci cercavo il conforto che oggi, invece, mi chiedono i troppi ragazzi che soffrono”.
Agli imputati la Corte ha deciso di dare unopportunità, dopo quella che per loro è stata una lunga riflessione fatta di incontri con uno psicologo, studio a scuola e attività di volontariato. Per alcuni in una mensa per i poveri, per gli altri con giovani disabili o con problemi adolescenziali. «Non sono mostri – dice Renzo Inghilleri, uno degli avvocati – Si sono imbarcati in un percorso concreto ed esigente. Alcuni sono anche stati in contatto con il padre di Carolina. “