Yngve Slyngstad è presidente del fondo sovrano norvegese, uno dei più ricchi del mondo, che crede molto nel Nostro Paese. Infatti non si lascia intimorire dal rapporto deficit/pil e dalle gravi conseguenze che potrebbe portare, stando ai rapporti dellunione Europea. Slyngstad dichiara: Siamo investitori di lungo termine nellItalia dal momento in cui è nato il nostro fondo, e probabilmente lo saremo anche per le prossime generazioni. Non facciamo trading di breve termine e le crisi politiche non hanno effetto sul nostro portafoglio. Sul finire dellanno passato, il fondo di cui Slyngstad è a capo ,il Norges Bank Investment Management, aveva puntato sui titoli italiani qualcosa come 11,3 miliardi di dollari in azioni di 127 aziende e 5,9 mld tra titoli di Stato e corporate bond di 17 aziende. Il Norges Bank Investment viene gestito da Oslo, da una frangia della Banca centrale norvegese, coordinato dal Ministero delle Finanze, con un progetto a lungo termine. Vuole mantenere i suoi Btp e anche le azioni e le corporate bond italiani che ha acquistato. Lunico problema che può incorrere è che il nostro Paese scivoli sotto la soglia dell investment grade, la stessa raggiunta dalla Grecia quando è caduta in crisi: le regole di investimento per le diverse Nazioni e le società junk sono diverse, non solo per il Norges ma per tutti i grandi fondi internazionali. E lItalia non è distante dal rating spazzatura (mancano appena due passi, uno solo per lagenzia cinese Dagong). Gli investimenti nelle nostre obbligazioni (sia corporate che governative) ha raggiunto il vertice nel 2008, per poi scendere e rimanere inalterati negli ultimi anni. Ma questo è accaduto un po a tutte le obbligazioni del nostro portafoglio, sottolinea Slyngstad. Nel 2008 avevamo una quota del 30-40% nellazionario e del 60-70% nellobbligazionario, oggi le percentuali si sono invertite con due terzi del portafoglio nellazionario e il resto tra bond e real estate. Per quale motivo? Perché in linea generale pensiamo che sia meglio essere proprietari di una società (possedendo azioni) piuttosto che esserne creditori (con le obbligazioni). È in costante crescita invece linvestimento nellazionario italiano, passato in appena un anno da 8 a oltre 11 miliardi di dollari. I ritorni del fondo.Negli ultimi dieci anni le masse gestite dal Norges Bank Investment Management sono quadruplicate, con un portafoglio ormai composto da novemila società di settanta Paesi. Dal giorno della sua istituzione, il fondo ha regalato ai norvegesi ritorni medi annui di quasi il 6% in termini nominali, circa il 4% in termini reali (al netto di inflazione e costi di gestione). Un ottimo risultato, superiore di circa un punto percentuale ai target (le cosiddette spending rules) indicati dal Governo del Paese scandinavo, che investe il surplus dellexport di idrocarburi nel Norges per costruire e salvaguardare la ricchezza finanziaria dei norvegesi, di fatto proprietari dei mille miliardi gestiti nel palazzo di Bankplassen.
Campione di trasparenza, il Norges Bank Investment Management fornisce in dettaglio ogni informazione riguardo le società o i Paesi sui quali ha investito. Scorrendo le 127 società italiane in portafoglio a fine 2017, spiccano Enel (1,1 miliardi di dollari), Unicredit (985 milioni),Eni(858 milioni), Intesa Sanpaolo(742 milioni), Generali (650 milioni) ma anche Juventus Fc e Ferrari, Luxottica Groupe Amplifon, Unipol e la Cattolica Ass che tanto piace a Warren Buffett, i videogiochi di Digital Bros e il biotech di Diasorin, le conserve di La Doria e i drink Campari, le calzature Geox e Tods ma anche il leader del fitness Technogym. Il meglio del made in Italy insomma. Sul fronte obbligazionario, invece, il fondo possiede quasi 5,2 miliardi di dollari di titoli di Stato, in aumento negli ultimi anni (erano 5 miliardi nel 2016 e 4,6 nel 2015). Ma nel portafoglio obbligazionario spiccano anche i corporate bond di Enel Finance ed Enel (417 milioni di dollari), di Campari (65 milioni) e Pirelli (61 milioni), oltre che di Telecom (50 milioni) ed Eni (47 milioni). Per i titoli di Stato abbiamo un sistema molto semplice – spiega Slyngstad, ceo del fondo dal 1° gennaio 2008 e nei dieci anni precedenti responsabile del settore azionario – : destiniamo a ogni Paese una quota proporzionale al suo Pil, sempre che si tratti di un Paese con rating investment grade (non junk). Per azionario e obbligazionario corporate, invece, il Norges ha un team di una sessantina di portfolio manager che si dividono i dieci principali settori di investimento. Seguono con attenzione circa mille delle novemila società che abbiamo in portafoglio, puntualizza il ceo. E le altre ottomila? «Cinquemila sono replicate fedelmente da un indice, il Ftse World, mentre le altre tremila – appartenenti a 38 Paesi emergenti, che pesano per il 12% nel nostro portafoglio – sono seguite da portfolio manager locali accuratamente selezionati da Norges Bank. A fine giugno, inoltre, il 2,6% del portafoglio del Norges era composto da investimenti immobiliari diretti (non effettuati attraverso lacquisto di azioni di società quotate). Ci focalizziamo solo su otto grandi città – puntualizza ancora Slyngstad – . Quattro sono negli Stati Uniti: la capitale politica Washington, quella finanziaria New York, quella tecnologica San Francisco e quella dellistruzione e della medicina Boston. In Europa investiamo a Londra, Parigi e Berlino, mentre in Asia sulla sola Tokyo. Lavoro qui da ventanni e posso dirle con onestà che mai avremmo pensato di raggiungere le nostre attuali dimensioni – sospira Slyngstad . Rappresentiamo una quota enorme di ricchezza del popolo norvegese, e questo crea tensioni. Politiche? Non solo. Ogni norvegese medio ha una diversa opinione di come va gestito il fondo: cè chi vuole che escludiamo le società attive nella difesa militare, chi vuole eliminare linternet gambling, ma ci sono anche per esempio i tifosi norvegesi della Juventus che vogliono farci comperare più azioni dei bianconeri. Chi lavrebbe mai detto? Mentre da sempre ogni italiano si è autoproclamato allenatore della nazionale di calcio, da qualche tempo tutti i norvegesi sono diventati attenti e meticolosi gestori finanziari. Del loro fondo sovrano da mille miliardi di dollari.